PARTIAMO DALLE FONTI

L’ospitalità nel monastero

Codice Vaticano, XI secolo

I monasteri benedettini ebbero una straordinaria importanza anche perché, con la loro pratica della carità, in un mondo ancora prevalentemente barbarico e nel quale l’uomo aveva valore solo se in grado di impugnare le armi, insegnarono il valore e il rispetto per ogni vita umana, per ogni persona, anche debole e povera. Un esempio significativo di questa “legge della carità” che i monaci diffondevano si può ritrovare nell’esercizio dell’ospitalità a cui tutti i monasteri erano tenuti nei confronti dei poveri e dei pellegrini che vi si rivolgevano.

Ecco i passi significativi della Regola che parlano di questo. Leggili e poi rispondi alle domande riportate sotto:

«Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto” e a tutti si renda il debito onore, ma in modo particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini. Quindi, appena viene annunciato l’arrivo di un ospite, il superiore e i monaci gli vadano incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro amore; per prima cosa preghino insieme e poi entrino in comunione con lui, scambiandosi la pace. […] Nel saluto medesimo si dimostri già una profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in partenza, adorando in loro, con il capo chino o il corpo prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così viene accolto nella comunità. Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare e poi il superiore o un monaco da lui designato si siedano insieme con loro. Si legga all’ospite un passo della Sacra Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e rispettoso senso di umanità. Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all’ospite, mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito. L’abate versi personalmente l’acqua sulle mani degli ospiti per la consueta lavanda; lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi a ciascuno degli ospiti e al termine di questo fraterno servizio dicano il versetto: “Abbiamo ricevuto la tua misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo Tempio”. Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile, perché è proprio in loro che si riceve Cristo in modo tutto particolare e, d’altra parte, l’imponenza dei ricchi incute rispetto già di per sé. La cucina dell’abate e degli ospiti sia a parte, per evitare che i monaci siano disturbati dall’arrivo improvviso degli ospiti, che non mancano mai in monastero. Il servizio di questa cucina sia affidato annualmente a due fratelli, che sappiano svolgerlo come si deve. (…) La foresteria, ossia il locale destinato agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di timor di Dio: in essa ci siano dei letti forniti di tutto il necessario e la casa di Dio sia governata con saggezza da persone sagge. Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto l’incarico, prenda contatto o si intrattenga con gli ospiti, ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo averli salutati umilmente come abbiamo detto e aver chiesta la benedizione, passi oltre, dichiarando di non avere il permesso di parlare con gli ospiti».

(cap. 53)

A chi vengono paragonati gli ospiti e i pellegrini? Perché devono essere accolti con amore e rispetto?

Quali sono le prime azioni che vengono compiute insieme a loro dopo l’accoglienza?

Che cosa deve fare l’abate nei confronti degli ospiti?

Come si devono comportare i monaci quando, all’interno del monastero, incontrano gli ospiti?