PARTIAMO DALLE FONTI
La “democrazia monastica”

La vita all’interno del monastero presentava aspetti di singolare modernità, al punto che lo studioso belga Léo Moulin non ha esitato a parlare di “democrazia monastica”. Innanzitutto la vita dei monaci, ogni gesto, ogni azione erano strettamente governate dalla regola in una sorta di stato di diritto, anche se va detto che non si trattava di una regola imposta dall’alto ma abbracciata dai monaci come aiuto a seguire Cristo nella loro vita. Inoltre al di sopra della regola vi era la legge della carità che governava tutti i rapporti, la discretio, cioè la moderazione con la quale l’abate governava il monastero. L’aspetto però più significativo riguardava l’autorità dell’abate e la modalità della sua elezione, modalità che oggi definiremmo democratica. Ecco alcuni passi della Regola che descrivono il compito dell’abate e le modalità della sua elezione:
L’autorità dell’abate
«In monastero l’abate tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato con il suo stesso nome, secondo quanto dice l’Apostolo: “Avete ricevuto lo Spirito di figli adottivi, che vi fa esclamare: Abba, Padre!”. Perciò l’abate non deve insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle leggi del Signore, anzi il suo comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei discepoli il fermento della santità. Si ricordi sempre che nel tremendo giudizio di Dio dovrà rendere conto tanto del suo insegnamento, quanto dell’obbedienza dei discepoli e sappia che il pastore sarà considerato responsabile di tutte le manchevolezze che il padre di famiglia avrà potuto riscontrare nel gregge».
La consultazione della comunità
«Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno. Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore. I monaci poi esprimano il loro parere con tutta umiltà e sottomissione, senza pretendere di imporre a ogni costo le loro vedute; comunque la decisione spetta all’abate e, una volta che questi avrà stabilito ciò che è più conveniente, tutti dovranno obbedirgli. D’altra parte, come è doveroso che i discepoli obbediscano al maestro, così è bene che anche lui predisponga tutto con prudenza ed equità. Dunque in ogni cosa tutti seguano come maestra la Regola e nessuno osi allontanarsene. Nessun membro della comunità segua la volontà propria, né si azzardi a contestare sfacciatamente con l’abate, dentro o fuori del monastero».
L’elezione e il comportamento dell’abate
«Nell’elezione dell’abate bisogna seguire il principio di scegliere il monaco che tutta la comunità ha designato concordemente nel timore di Dio, oppure quello prescelto con un criterio più saggio da una parte sia pur piccola di essa. Il futuro abate dev’essere scelto in base alla vita esemplare e alla scienza soprannaturale, anche se fosse l’ultimo della comunità. (…) Il nuovo eletto, poi, pensi sempre al carico che si è addossato e a chi dovrà rendere conto del suo governo e sia consapevole che il suo dovere è di aiutare, piuttosto che di comandare. Bisogna quindi che sia esperto nella legge di Dio per possedere la conoscenza e la materia da cui trarre “cose nuove e antiche”, intemerato, sobrio, comprensivo e faccia “trionfare la misericordia sulla giustizia”, in modo da meritare un giorno lo stesso trattamento per sé. Detesti i vizi, ma ami i suoi monaci. Nelle stesse correzioni agisca con prudenza per evitare che, volendo raschiare troppo la ruggine, si rompa il vaso: diffidi sempre della propria fragilità e si ricordi che “non bisogna spezzare la canna già incrinata”. Con questo non intendiamo che l’abate debba permettere ai difetti di allignare, ma che li sradichi – come abbiamo già detto – con prudenza e carità, nel modo che gli sembrerà più conveniente per ciascuno, e cerchi di essere più amato che temuto (…) tenendo presente la discrezione del santo patriarca Giacobbe, che diceva: “Se affaticherò troppo i miei greggi, moriranno tutti in un giorno”».