METTIAMO A FUOCO

La società medievale: una società tripartita e statica?

Differenti compiti per il bene di tutti…

Un testo poetico del vescovo Adalberone di Laon, scritto intorno al 1030, descrive la società del suo tempo come un organismo ben ordinato in cui le persone sono divise in tre ordini, ognuno con un ben preciso compito da svolgere. Vi erano gli oratores (dal latino orare, “pregare”) ossia gli ecclesiastici, dediti alla preghiera e al servizio religioso; i bellatores (dal latino bellum, “guerra”) cioè i nobili, che avevano il compito di combattere per difendere la comunità e infine i laboratores (lavoratori) ossia i contadini e in generale il popolo, che lavoravano per mantenere tutta la società. Questa tripartizione garantiva, secondo Adalberone, uno sviluppo ordinato all’intera società in quanto ognuno, col suo compito, contribuiva al bene di tutti. Da ciò derivava anche la pace sociale. Per molti questa sarebbe la perfetta descrizione della società medievale. Ma le cose stavano veramente così?

… ma la realtà era più complessa

Dobbiamo dire che quella del vescovo francese era una rappresentazione piuttosto ideale: era il suo modo di concepire una società perfetta, in altri termini ciò che egli desiderava e sperava perché ci fossero ordine e pace. Probabilmente una tripartizione ordinata come quella da lui descritta si verificò solo in periodi piuttosto brevi e in ambiti territoriali limitati. Di fatto molteplici esempi testimoniano una realtà molto più complessa e in costante evoluzione. Vi furono infatti uomini di Chiesa che, oltre a pregare, lavoravano (i monaci benedettini) e altri che governavano e combattevano (saranno i vescovi-conti o i monaci combattenti degli ordini monastico-cavallereschi). Lo stesso popolo dei laboratoresdopo l’anno Mille comprenderà anche i “borghesi”, mercanti, artigiani, imprenditori che con la loro attività potranno arricchirsi fino a minacciare la supremazia dei nobili nella società: questi borghesi saranno anche disposti a combattere in eserciti cittadini per difendere le loro libertà, e in tal caso la guerra non sarà più compito esclusivo dei nobili.

Bastano questi esempi a metterci in guardia, nel fare storia, dal rischio di generalizzare o di sostituire alla realtà dei fatti schemi o concezioni astratte che, per quanto belle e ideali, hanno il difetto di non essere vere, del tutto o almeno in parte. Di ciò probabilmente si rendeva conto lo stesso Adalberone che, infatti, nel testo che abbiamo citato conclude lamentandosi proprio perché la società che lui aveva descritto stava rapidamente cambiando.