A/R 2 Vite degli autori
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Vite degli autori, RACCONTI D'AVVENTURA
ROBERT LOUIS STEVENSON

Edimburgo 13.11.1850 – Vailima 3.12.1894
Robert Louis Stevenson nasce a Edimburgo nel 1850. Fin dalla primissima infanzia soffre di crisi respiratorie che riducono al minimo i suoi contatti con l’esterno e lo costringono a una vita ritirata. In queste condizioni il piccolo Robert Louis è costretto a guardare il mondo dalla finestra della sua camera, l’unica libertà possibile per lui è l’immaginazione alimentata dalle storie raccontategli dal padre e dalla governante. Come ricorda lui stesso nella poesia The Land of Counterpane (Il mondo di Copriletto), aveva trasformato il suo letto in un universo di storie: «e talora mandavo le mie navi in flottiglie/ a solcare in lungo e largo il lenzuolo;/ o mettevo fuori alberi e case/ e tutt’intorno innalzavo città». È questo anche il periodo delle prime letture tra cui Walter Scott, Shakespeare e la Bibbia che la governante, fervente calvinista, non dimentica mai di narrargli.
Si iscrive alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Edimburgo per seguire le orme del padre, ma presto lo studio passa in secondo piano per lasciare spazio alla letteratura. Legge Daniel Defoe, George Eliot, ma anche i classici latini. In questo periodo si fa strada in lui una mentalità anticonformista e ribelle che si scontra con l’educazione paterna. Abbandona presto ingegneria per dedicarsi alla giurisprudenza e poi lasciare definitivamente gli studi.
Nel 1871 comincia a collaborare come letterato alla rivista «Edinburgh University Magazine» e a «The Portfolio» da cui si fa pubblicare alcuni saggi. È solo nel 1878 con la pubblicazione di An Inland Voyage – impressioni di un viaggio in canoa attraverso i fiumi e i canali delle Francia settentrionale – che egli riesce ad affermare il suo geniale spirito di osservazione.
A causa della sua malattia polmonare è spesso costretto a viaggiare verso le regioni della Francia meridionale. In uno di questi suoi viaggi incontra Fanny Osbourne, donna americana di dieci anni più vecchia di lui, con due figli e vittima di un infelice matrimonio, con la quale si sposerà nel 1880 a San Francisco.
Al ritorno dall’America comincia il periodo più produttivo dello scrittore: tra il 1881 e il 1885 scrive L’isola del tesoro, pubblica diversi saggi e racconti, stende altri romanzi tra cui La freccia nera, Il principe Otto, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Nel 1886 esce a puntate su una rivista Il ragazzo rapito.
Nel 1887, dopo la morte del padre, Stevenson lascia la terra natale per l’America con tutta la famiglia e si stabilisce nelle isole tropicali del Pacifico. Pone poi la sua dimora fissa nell’arcipelago delle Samoa. È qui che riceve il suo secondo nome, ‘Tusitala’, ossia il narratore di storie, dalle popolazioni locali che lo stimano e lo rispettano come uno di loro.
Muore improvvisamente nel 1894 mentre sta dettando una frase del romanzo incompiuto Weir di Hermiston.
EMILIO SALGARI

Verona 21.8.1862 – Torino 25.4.1911
A sedici anni si iscrive al Regio Istituto Tecnico e Nautico “Paolo Sarpi” di Venezia. Il suo desiderio è diventare capitano di marina, ma già dal secondo anno incontra difficoltà e dovrà presto abbandonare gli studi nautici. In questo contesto naviga lungo le coste dell’Adriatico per tre mesi a bordo della nave “Italia Una” e questa è l’unica sua esperienza di mare significativa, mentre non gli sarà mai possibile viaggiare nei paesi lontani in cui ambienta la maggior parte dei suoi romanzi e che conoscerà solo tramite le letture dei libri, la ricerca e la documentazione personale. Il sogno della vita di mare rimarrà nel nome di Capitano con cui amerà fregiarsi, impropriamente, per tutta la vita. Il suo primo lavoro edito è un racconto in quattro puntate, I selvaggi della Papuasia, scritto a vent’anni e pubblicato su un settimanale milanese. Nel 1883 pubblica a puntate, sulla rivista «La nuova Arena», il romanzo La tigre della Malesia. Quest’opera segna l’inizio del successo di Salgari e forse anche della sua vita tormentata. Tutta la produzione dello scrittore italiano, infatti, è accompagnata da una nota di insoddisfazione e preoccupazione dovuta ai continui problemi economici: se il pubblico ama e divora i suoi scritti, gli editori sono poco riconoscenti e remunerativi. Nel marzo 1887 muore sua madre e questo lutto lo segna tanto da dover abbandonare molte delle attività che svolge, diremmo oggi, come hobby (ciclista, ginnasta, sportivo a tal punto da esibirsi nelle palestre, nelle piazze) per prendersi cura della sorella e investire tempo ed energie in un’unica attività: giornalismo e letteratura. Nel 1892 sposa Ida Peruzzi, un’attrice dilettante da cui avrà quattro figli; e nello stesso anno firma un contratto con l’editore Speirani così come in seguito con altri editori: in sei anni produrrà trenta opere. È del 1909 una lettera a un amico in cui scrive: «La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali. Io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno ed alcune della notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere».
La malattia della moglie (costretta a essere ricoverata in manicomio) lo prostra e preoccupa così come la pressione a cui è sottoposto dalle case editrici e tutto ciò lo porta a non aver cura di sé fino a temere di non riuscire più a scrivere.
Nel 1911 lascia una lettera, dopo essersi tolto la vita, in cui scrive “vi saluto spezzando la penna”: segno questo di come l’arte della scrittura e la sua vita fossero una cosa sola, anche se spinta fino allo stremo.
Nell’arco della sua vita Salgari ha pubblicato più di cento racconti e circa ottanta romanzi, tra i quali ne segnaliamo alcuni appartenenti al ciclo dei pirati della Malesia: I misteri della jungla nera; Le tigri di Mompracem; I pirati della Malesia; Le due tigri; e altri del ciclo dei corsari delle Antille: Il Corsaro Nero; La regina dei Caraibi; Jolanda, la figlia del Corsaro Nero.
JULES VERNE

Nantes 8.2.1828 – Amiens 24.3.1905
Estate 1839. Nel porto di Painboeuf, sul fiume Loira, il transatlantico Coralie si prepara a salpare per un lungo viaggio. Meta: le Indie Orientali. A poche ore dalla partenza, un distinto signore si fa largo tra la ciurma, impegnata negli ultimi frenetici preparativi; con foga chiede di poter vedere immediatamente il giovane mozzo. Lui è Pierre Verne, avvocato. Il ragazzo è il figlio undicenne, Jules: si è imbarcato di nascosto dalla famiglia, riuscendo a corrompere e sostituire il mozzo precedentemente reclutato, con la speranza di poter vedere il mondo e far fortuna. Si narra che il giovane Jules, ricondotto a casa dopo una severa ramanzina, prometta al padre che d’ora in poi viaggerà solo con la fantasia.
La promessa non viene completamente mantenuta: divenuto adulto, viaggia a bordo del suo yacht nelle isole britanniche, nella penisola scandinava, in America, nel nord Africa, in Italia, nella penisola iberica. Non solo: vola su un pallone aerostatico, rischia di naufragare in una notte di tempesta, è addirittura vittima di un fallito attentato.
Quello che è certo, però, è che nel corso della sua esistenza viaggia molto anche con la fantasia: la sua immaginazione irrefrenabile lo porta a girare intorno al globo, al centro della Terra, al di là della Luna e nei misteriosi abissi marini. Da queste straordinarie esplorazioni nel mondo del possibile, nascono i suoi romanzi, intrisi di scienza e meraviglia, tra i quali in particolare si distinguono per fama: Viaggio al centro della Terra (1864), Ventimila leghe sotto i mari (1869-1870), Il giro del mondo in 80 giorni (1873); L’isola misteriosa (1874-5), Michele Strogoff (1876).
JACK LONDON

San Francisco 12.1.1876 – Glen Ellen 22.11.1916
John Griffith Chaney, conosciuto con lo pseudonimo di Jack London, nasce a San Francisco in California nel 1876. L’anno dopo la sua nascita la famiglia si trasferisce a Oakland, dove Jack trascorre la sua infanzia tra compagnie poco raccomandabili e svolgendo diversi lavori per sovvenire alle necessità della famiglia. Fa lo strillone, il pescatore clandestino di ostriche, il cacciatore di foche in Giappone, esperienza da cui trarrà spunto per il suo primo racconto. Alterna gli studi delle scuole di primo e secondo grado con diverse attività e periodi di vagabondaggio. Nel 1896 riesce a entrare nell’università della California che frequenterà per un solo semestre a causa di problemi finanziari. Nel luglio del 1897 partirà per il Klondike, regione tra gli USA e il Canada, come ricercatore d’oro. Nel grande nord canadese a contatto con gli indiani e la natura selvaggia trova la sua fonte di ispirazione. Nel 1898 è di ritorno a Oakland dove viene a conoscenza della morte del padre adottivo. Cosciente di essere l’unico sostentamento per la madre, si tuffa a capofitto nella letteratura scrivendo novelle e racconti brevi per le grandi riviste. Nel 1900 pubblica il suo primo romanzo, Il figlio del lupo, che incontra il gusto del pubblico. Con Il richiamo della foresta, del 1903, acquista la celebrità che lo accompagnerà fino alla morte e si dedica interamente alla scrittura. London scrive romanzi di vario genere, da quelli avventurosi, Il richiamo della foresta, Zanna bianca (1906), a quelli autobiografici, fra cui il più celebre Martin Eden (1909). I temi privilegiati dello scrittore americano sono quelli della lotta per la sopravvivenza e del passaggio dalla civiltà allo stato primitivo, frequenti sono le descrizioni di ambienti rozzi e degradati delle classi subalterne, e le storie incentrate su avventurieri e diseredati, impegnati in lotte spietate e selvagge per salvare la propria dignità: ambienti, temi e storie sicuramente sperimentate in prime persona. Dopo aver viaggiato per il mondo, muore nel 1916 in California.
JOSEPH CONRAD

Berdyčiv 3.12.1857 – Bishopbourne 3.8.1924
«Ora, quando ero bambino avevo una passione per le carte geografiche. Stavo ore a guardare il Sud America, l’Africa o l’Australia, e mi perdevo nelle glorie dell’esplorazione. Allora c’erano parecchi spazi vuoti sulla terra, e quando ne trovavo uno che sembrava particolarmente invitante sulla carta (ma lo sembravano tutti) ci mettevo il dito sopra e dicevo: “Quando sarò grande andrò là”» (Memorie, 1912).
Jozéf Teodor Konrad Korzeniowski nasce nel 1857 nei territori polacchi dell’attuale Ucraina. Rimasto orfano all’età di tredici anni, intraprende la carriera nella Marina mercantile britannica: da mozzo diventa comandante, raggiungendo le coste delle isole caraibiche, del Venezuela, dell’Australia e dell’India; attraccando nei principali porti del Mediterraneo, a Singapore e a Bangkok; risalendo in battello il fiume Congo.
Dopo i 35 anni abbandona la vita di mare, impegnandosi nell’altra grande passione della sua vita: la scrittura. Traendo spunto dai suoi innumerevoli viaggi, scrive romanzi in inglese, la sua lingua di adozione (che aveva iniziato a studiare solamente dopo i vent’anni), e si firma con il nome anglicizzato di Joseph Conrad.
Oggi, grazie ai suoi capolavori come Cuore di tenebra, Lord Jim, La linea d’ombra, è considerato uno dei maggiori narratori anglosassoni tra Ottocento e Novecento.
MICHAEL CRICHTON

Chicago 23.10.1942 – Los Angeles 4.11.2008
Scrittore, sceneggiatore, regista e produttore, lo statunitense Michael Crichton è l’unico autore che è riuscito ad essere al primo posto contemporaneamente nella classifica USA dei libri più venduti, dei film più visti e dei telefilm più seguiti. Da molti dei suoi best-seller infatti sono stati tratti film di successo e apprezzate serie televisive. Tutto è iniziato più o meno come un hobby: il giovane Crichton, nato e cresciuto a Chicago, laureato in Medicina e Chirurgia, vendeva romanzetti alle riviste. Per pubblicare i suoi lavori gli piaceva scegliere pseudonimi che sottolineassero la sua altezza sopra la media (206 cm): è prima John Lange (“Lange” in tedesco significa “persona alta”), poi Jeffrey Hudson (Sir Jeffrey Hudson fu un noto “gigante” alla corte della regina Maria Antonietta di Francia, nel ’700). Quando l’appassionante thriller In caso di necessità ebbe un insperato successo, Crichton decise di abbandonare la professione medica per occuparsi della scrittura a tempo pieno. Con i soldi ottenuti dalla vendita dei primi libri, soprattutto grazie al grande successo di Andromeda, un romanzo thriller fantascientifico, poté dedicarsi alla sua grande passione per i viaggi. È proprio durante questi avventurosi viaggi in giro per il mondo che Crichton trovò l’ispirazione per i suoi futuri romanzi. Romanzi che, con l’eccezione dell’autobiografia Viaggi e di alcuni romanzi storici, sono prevalentemente di genere techno-thriller, un mix di azione e fantascienza. Le trame dei suoi libri sono perfette anche per il cinema e, infatti, numerosi suoi best-seller hanno successo anche sul grande schermo: da La cruna dell’ago, all’avventuroso Congo, fino al colossal Jurassic Park con Steven Spielberg come regista. Crichton debuttò anche nella regia cinematografica con Il mondo dei robot, il primo film della storia a usare effetti speciali computerizzati; di lì a poco Crichton avrebbe fondato addirittura un’azienda specializzata in software per il cinema, la FilmTrack.
Nel frattempo Crichton continuava a curare le sue passioni: collezionava orologi antichi, giocava a tennis, faceva immersioni subacquee e cucinava. Si sposò cinque volte ed ebbe una figlia, Taylor, nata dalla quarta moglie.
Il 4 novembre 2008 si spense a 66 anni dopo una lunga malattia. Era al lavoro sul soggetto del quarto episodio della serie Jurassic Park.
JØRN RIEL

Odense 23.7.1931
Nasce, come il grande narratore danese Hans Christian Andersen, nella città portuale di Odense. Nel 1950 raggiunge la Groenlandia, al seguito di un’importante spedizione scientifica, e lì vi rimane per sedici anni. Di ghiaccio, aurore boreali e cacciatori di foche parlano gran parte dei suoi romanzi e racconti, tradotti in più di venti paesi in tutto il mondo.
Esploratore ed etnologo, diviene inviato per l’ONU in Oriente e Medio Oriente. Conosce diverse lingue, tra cui l’eschimese e il tailandese.
Oggi vive in Malesia dove, come gli piace dire, è andato a “scongelare”.
Vite degli autori, NOVELLE
GIOVANNI BOCCACCIO

Certaldo (Firenze) 16.6.1313 – 21.12.1375
Giovanni Boccaccio nasce nel 1313 a Certaldo presso Firenze. Trascorre nell’umiltà l’infanzia e la fanciullezza. È avviato alla vita scolastica dal maestro Giovanni Mazzuoli da Strada, grande ammiratore di Dante, il quale trasmette al Boccaccio la passione per il sommo poeta. Tra il 1325 e il 1340 viene mandato a Napoli a fare pratica mercantesca e bancaria presso il Banco dei Bardi. A questo soggiorno è dovuta senz’altro la spiccata sensibilità verso il mondo della borghesia mercantile e delle altre tipologie umane che affollavano la grande città partenopea, che segneranno profondamente la sua opera più celebre e importante per la storia della letteratura, il Decameron.
Nella stessa Napoli il padre vede svanire il desiderio di avere un figlio esperto d’affari poiché qui matura la vocazione letteraria di Giovanni. È in questo periodo che lo scrittore compone le sue prime opere. Nel 1340 Boccaccio torna a Firenze dove assisterà, nel 1348, alla terribile peste cui si fa riferimento nel Decameron, pubblicato nel 1351, una raccolta di cento novelle nella quale fa confluire, in una forma che sapientemente reinventa, tutta la tradizione della narrativa breve in prosa. Per sfuggire all’oppressione della peste, e dunque alla morte, l’autore immagina che dieci giovani di Firenze si rifugino in una villa sui colli e ogni pomeriggio, per dieci giornate, ciascuno narri una novella su un tema prestabilito. Nel suo insieme l’opera rappresenta la complessità della vita umana, con tutte le sue problematiche sociali, esistenziali, politiche. Protagonisti di questi racconti sono i più svariati personaggi: dai grandi uomini del passato come il Saladino o Cicerone, a quelli della Bibbia come Salomone, alle figure umane a lui contemporanee di mercanti, uomini religiosi, popolani.
Negli anni successivi alla pubblicazione della sua opera partecipa alla vita politica della città di Firenze e stringe una forte amicizia con Francesco Petrarca, altro protagonista della storia della letteratura delle origini, con il quale aprirà la strada all’Umanesimo.
Muore nel 1375 nel paese natale.
EDGAR ALLAN POE

Boston 19.1.1809 – Baltimora 7.10.1849
Nel 1809, quando Poe nacque a Boston, gli Stati Uniti avevano una popolazione di 7 milioni di abitanti circa e una bandiera con 15 stelle e 15 strisce. Quando morì nel 1849, in circostanze mai chiarite, la popolazione era di oltre 23 milioni, di cui almeno 3 erano schiavi. Sulla bandiera, che era cambiata dieci volte, erano presenti 30 stelle e 13 strisce. Anche la sua vita fu attraversata da continui cambiamenti ed eventi drammatici. I suoi genitori, poveri attori girovaghi, morirono quando Poe aveva solo due anni e la famiglia venne separata. A spese della famiglia affidataria, frequentò le scuole in Inghilterra: qui dimostrò la sua inclinazione per la poesia e la scrittura in generale, tanto che gli viene affibbiato il soprannome di jingle-man, ‘menestrello’. Iniziò a frequentare l’università, ma si indebitò tanto con il gioco d’azzardo da dover abbandonare gli studi. Tentò di guadagnare con diversi lavori: fu impiegato, giornalista, soldato semplice. Nessuna di queste professioni fu duratura, addirittura fu espulso dall’Accademia Militare. Il padre adottivo lo diseredò: senza soldi e senza famiglia, venne accolto dalla zia Maria Clemm a Baltimora. A 26 anni ne sposò la giovane figlia, Virginia Clemm. Si dedicò alla scrittura: riscosse grandi successi, senza però ottenere stabilità economica. Gli impieghi che ottenne presso diverse riviste li perse presto, a causa dell’alcolismo. Il fallimento del giornale con cui collaborava, le accuse di plagio, la malattia e la morte della moglie, l’alcolismo e il consumo di droghe aggravarono la sua situazione già fragile. Il 3 ottobre fu trovato per strada agonizzante, e dopo quattro giorni morì, lasciando la sua gatta Cattarina e una vasta produzione. Nonostante la vita tormentata e disordinata, è uno dei più grandi scrittori americani, ed è considerato il padre del poliziesco, con la raccolta I delitti della Rue Morgue del 1841, e dell’horror: spesso riflette con storie terrificanti e umoristiche la sua vita, «sia nella continua precisione e nel realismo dei suoi svariati giochi con le tenebre, le scritture segrete e il verso poetico, sia nelle ventate di enorme ciarlataneria». (J.L. Borges).
GUY DE MAUPASSANT

Tourville-sur-Arques 5.8.1850 – Parigi 6.7.1893
Henri-René-Albert-Guy de Maupassant nasce in Francia nel 1850 da una famiglia della ricca borghesia; il padre, funzionario del Ministero delle Finanze, si fa riconoscere i titoli nobiliari di recente acquisizione. Dalla famiglia della madre lo scrittore deriva il suo amore per la terra di Normandia, ricordata sempre con affetto e nostalgia.
In seguito alla separazione dei genitori trascorre l’infanzia sulle coste della Manica, insieme al fratello Hervé e alla madre, donna molto colta appassionata di letteratura e di arte; la sua educazione si compie a Rouen, dove Guy affianca allo studio scolastico la lettura dei classici francesi del Settecento e dell’Ottocento. Nel 1870 Maupassant si iscrive alla facoltà di Legge a Parigi, ma lo scoppio della guerra franco-prussiana nello stesso anno e il suo conseguente arruolamento a Rouen gli fanno interrompere gli studi per quasi due anni, durante i quali sperimenterà la durezza della guerra e l’amarezza dell’occupazione straniera.
Nel 1872 torna a Parigi, ma invece di riprendere gli studi trova impiego presso il Ministero della Pubblica Istruzione, attività che gli permette di avere molto tempo libero, dedicato alla caccia e al canottaggio e alla passione per la letteratura.
Insieme alle prime opere, poemetti e testi per il teatro, Maupassant inizia a scrivere anche racconti, tra i quali Palla di sego, che ottiene un successo di pubblico fulminante. Dal 1880 inizia un periodo di attività febbrile e di grandi riconoscimenti, in cui pubblica in soli dieci anni una mole impressionante di opere: sei romanzi, tra cui Bel-Ami, una quindicina di volumi di novelle, centinaia di articoli giornalistici di politica, cronaca contemporanea e impressioni di viaggi. Soggetto dei racconti sono le esperienze di vita e gli ambienti che lo scrittore ha frequentato nella sua breve esistenza: il mondo contadino normanno, descritto quasi senza pietà nella sua rozzezza e nella sua ottusità, l’ambiente militare vissuto personalmente nella drammatica esperienza della guerra e nel contatto con l’usurpatore prussiano, descritto come crudele e insensibile, la bellezza della campagna francese come sfondo di battute di caccia e di gite sulla Senna, e l’ambiente parigino, luogo di avventure galanti e di dissolutezze o di sordide vite di piccolo-borghesi e impiegati di basso rango.
I guadagni gli permettono una vita di lusso, frequentazioni galanti e numerosi viaggi in Italia, Africa e Gran Bretagna, oltre a lunghe traversate per mare a bordo del suo yacht privato Bel-Ami. L’eccesso di lavoro, la fama, la vita sregolata e dissoluta nel bel mondo dell’alta società francese, aggravano i sintomi di una malattia nervosa ereditata dal padre e lo portano ben presto a una grave crisi di follia, le cui prime manifestazioni erano state sottovalutate. Ricoverato in una clinica di Parigi nel 1892, Maupassant muore nel 1893 a soli quarantatré anni.
ANTON ČECHOV

Taganrog 29.1.1860 – Badenweiler 15.7.1904
Uno dei più grandi scrittori e drammaturgi di professione era medico. Nacque in una famiglia di umili origini: il nonno si era riscattato dal padrone per una ingente somma di rubli. L’educazione che ricevette a casa e a scuola fu molto dura e spesso fallimentare. Čechov parla di un solo professore, quello di religione, in grado di insegnargli qualcosa e colto abbastanza da introdurlo alla letteratura satirica. Ben presto, durante gli anni degli studi, fu costretto a lavorare per potersi mantenere a causa del fallimento del negozio del padre. Ottenne una borsa di studio con cui si iscrisse alla facoltà di Medicina e aiutò la famiglia a sostentarsi. Sviluppa in tutte le difficoltà e miserie che affronta una vena umoristica sostenuta da una voce di speranza: iniziò a collaborare con riviste e giornali, pubblicando racconti sotto lo pseudonimo di Čechonte. Con i suoi racconti e le sue opere teatrali conquistò un pubblico fedele, e la fama che ottenne gli bastò a dedicarsi principalmente all’attività letteraria. Nonostante fosse affetto da tubercolosi, attraversò l’Europa in molti viaggi. Sempre nostalgico della Russia, acquistò infine una proprietà a Melikhovo. Lì, per non essere disturbato dai molti visitatori, si fece costruire un capanno per la sua attività di scrittore. Benché la malattia si aggravasse, si sposò con l’attrice Olga Knipper, conosciuta tre anni prima al debutto de Il gabbiano. Nel 1904 morì nella stanza 211 della località termale di Badenweiler.
MARK TWAIN

Florida 30.11.1835 – Redding, 21.4.1910
Mark Twain, pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens, nasce a Florida, nel Missouri, nel 1835 e muore nel 1910 a Redding, nel Connecticut. Prima di diventare uno dei maggiori scrittori americani, apprezzato soprattutto per la sua vena umoristica, Twain svolge diversi lavori, dal tipografo al mozzo, dal pilota di battelli fluviali a cercatore d’oro, fino a intraprendere la carriera di giornalista e reporter. Certamente tutte queste esperienze confluiscono nei numerosi scritti e romanzi, i più noti dei quali, oltre a Le Avventure di Tom Sawyer (1876, seguito da Tom Sawyer all’estero e Tom Sawyer detective) e Le avventure di Huckleberry Finn (1884), sono Il principe e il povero, Un americano alla corte di re Artù, Vita sul Mississippi e Il ranocchio saltatore e altri racconti umoristici.
Vite degli autori, RACCONTI POLIZIESCHI
ELLERY QUEEN

Frederick Dannay New York 20.10.1905 – New York 3.9.1982
Manfred Bennington Lee New York 11.1.1905 – Connecticut 3.4.1971
Ellery Queen è uno pseudonimo, che cela l’attività di due cugini di New York, Frederic Dannay e Manfred Bennington Lee. Nel 1929 questi danno vita, oltre che all’omonimo investigatore, al loro primo racconto: La poltrona n. 30, un giallo a enigma ambientato in un teatro di Broadway. Solo nel 1936 rivelano la loro identità, dedicandosi a tempo pieno alla scrittura (prima lavoravano in un’agenzia pubblicitaria).
Ellery Queen è il figlio dell’ispettore Richard Queen della squadra omicidi di New York e con lui collabora alla risoluzione dei casi che poi divengono, grazie alla sua abile penna, racconti. Un uomo alto ed elegante, piuttosto raffinato e colto, dall’aspetto giovane e atletico, che fuma sottili sigarette, usa un bastone da passeggio e porta un paio di occhiali sulla punta del naso, com’era in voga all’inizio del Novecento. Lo contraddistinguono un grande intuito e una fervida immaginazione: pochi indizi infatti gli sono sufficienti per trovare una spiegazione plausibile a un fatto che parrebbe senza soluzione.
ARTHUR CONAN DOYLE

Edimburgo 22.5.1859 – Crowborough 7.7.1930
Arthur Conan Doyle nasce nel 1859 a Edimburgo. Laureatosi in Medicina, inizia a esercitare la sua professione presso l’ospedale di Edimburgo, dove conosce Joseph Bell, un dottore dall’intuito straordinario, a cui bastano pochi sintomi per diagnosticare le malattie e ricostruire il carattere, la professione, la provenienza dei suoi pazienti osservandone attentamente le caratteristiche, tratti che resteranno impressi in Doyle. Egli si imbarca si imbarca in seguito su una baleniera come medico di bordo e, tornato in patria, apre uno studio medico a Portsmouth. Sin dagli anni universitari si diletta a scrivere racconti ed è proprio il successo del racconto poliziesco Lo studio in rosso, pubblicato nel 1887, a convincerlo ad abbandonare la carriera medica per dedicarsi completamente alla letteratura. Doyle scrive non solo romanzi gialli, ma anche romanzi storici e di avventura. È però l’invenzione dell’investigatore Sherlock Holmes, personaggio ispiratogli dall’intuitivo dottor Bell, a renderlo famoso in tutto il mondo. Tra le più celebri opere di Conan Doyle ci sono Il segno dei quattro (1890) e Il mastino dei Baskerville (1902).
AGATHA CHRISTIE

Torquay 15.9.1890 – Winterbrook, 12.1.1976
Agatha Christie, nata nel Devonshire nel 1890, è lo pseudonimo di Agatha Mary Clarissa Miller. Come per tutte le ragazze inglesi di buona famiglia, non frequenta la scuola, ma viene istruita in casa e sin da piccola si appassiona alla letteratura. Nel 1914 sposa un ufficiale, Archibald Christie, che subito dopo le nozze va a combattere sul fronte della Prima guerra mondiale. Giovane sposa, la Christie presta servizio come crocerossina presso un ospedale. Non è il primo caso in cui medicina e investigazione si trovano unite: Conan Doyle esercita la professione di medico e si ispira a un dottore per la caratterizzazione del suo celebre investigatore Sherlock Holmes, il quale trova un valido aiuto nel dottor Watson; l’investigatore Maigret studia medicina prima di entrare in polizia; la Christie trova l’ispirazione per il suo primo racconto in un ospedale. La scienza medica si basa infatti, come quella investigativa, sull’indagine: un buon medico è colui che sa interpretare i sintomi, così come un abile investigatore sa leggere gli indizi. L’uno cerca la causa del malanno, l’altro il colpevole, ed entrambi hanno a che fare con il male e con il desiderio che ogni uomo ha di nominarlo e risolverlo. Fallito il suo matrimonio, la Christie si dedica alla scrittura e ai viaggi: in Iraq conosce il suo secondo marito, un archeologo, che spesso segue nelle sue spedizioni. Nel 1971 riceve l’onorificenza massima per una donna inglese: la DBE (Dama dell’Impero britannico). La sua produzione di racconti polizieschi è copiosa: più di duecento gialli, i cui protagonisti più famosi sono due investigatori, Hercule Poirot e Miss Marple.
Agatha Christie muore nel 1976.
GEORGE SIMENON

Liegi 13.2.1903 – Losanna 4.9.1989
Georges Simenon nasce a Liegi nel 1903. Morto il padre, si trasferisce a Parigi dove esercita dapprima la professione di cronista, poi quella di scrittore.
Il personaggio che lo rende celebre, il commissario Maigret, compare per la prima volta nel romanzo Pietro il lettone, scritto nel 1929 e pubblicato nel 1931. Protagonista di molti libri di Simenon, Maigret viene mandato in pensione nel 1934, poiché l’autore intende dedicarsi ad altri generi letterari. Ma la pressione di molti editori lo induce a tornare a narrare le indagini del commissario Maigret, a cui si è realmente affezionato: «Mi sento pieno di rimorsi – scrive Simenon – per aver completamente trascurato Maigret, dopo l’ultimo romanzo. È un po’ come aver lasciato un amico senza stringergli la mano. Si creano tra un autore e i suoi personaggi dei legami affettivi».
Nel 1945 Simenon emigra negli Stati Uniti, poi in Svizzera, a Losanna, dove muore nel 1989. La sua opera conta più di quattrocento racconti, la maggior parte dei quali di genere poliziesco, ma non vanno trascurati i suoi romanzi da lui definiti «seri», quali Le finestre di fronte, L’uomo che guardava passare i treni, La vedova Couderc e i suoi scritti autobiografici, Lettera a mia madre e Mémoires intimes.
GILBERT KEITH CHESTERTON

Londra 29.5.1874 – Beaconsfield 14.6.1936
Nato a Londra nel 1874 da famiglia anglicana, Gilbert Keith Chesterton non è propriamente uno studente e uno sportivo modello (aveva un fisico piuttosto robusto e goffo). Eppure si mostra sin da ragazzo dotato di un vivace spirito critico e di una grande sensibilità artistica: non frequenta l’università, ma una scuola d’arte, avendo una particolare inclinazione per il disegno e la caricatura. Terminati gli studi, si dedica alla scrittura e al giornalismo, come recensore, editorialista e saggista. Comincia a scrivere sullo «Speaker» e sul «Daily News», affermandosi ben presto come giornalista di successo, amato dai lettori per lo stile pungente e l’intelligenza della sua polemica. Tra i bersagli più frequenti degli articoli del giovane Chesterton vi sono la società industriale, della quale viene criticata la tendenza alla disumanità e al materialismo, e le ideologie dilaganti tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. La sua profonda sensibilità religiosa lo porta a convertirsi alla Chiesa cattolica nel 1922, nella quale intuisce la via per il compimento del suo realismo e della sua ragionevolezza, contro la tendenza imperante del primo Novecento ad affidare le proprie speranze di salvezza alle ideologie, sistemi di pensiero più volte criticati da Chesterton per la loro irrazionalità di verità impazzite perché fondate sull’assolutizzazione di un particolare e non sull’osservazione e sull’accettazione della realtà nella sua complessità. Celebre per aver creato padre Brown, protagonista di molti racconti polizieschi, Chesterton è scrittore non solo di gialli, ma anche di biografie (memorabili quelle dedicate a san Tommaso e a san Francesco), saggi (in particolare, Ortodossia del 1908, dedicato a illustrare le ragioni della sua adesione al cristianesimo) e romanzi (L’uomo che fu giovedì, 1908, e Le avventure di un uomo vivo, 1912).
Chesterton muore nel 1936, anno in cui viene pubblicata la sua autobiografia.
Vite degli autori, PAGINE AUTOBIOGRAFICHE
HEINRICH SCHLIEMANN

Neubukow 6.1.1822 – Napoli 26.12.1890
Nato nel 1822 a Neubukow, piccola cittadina tedesca in cui il padre è pastore protestante, fin da piccolo si appassiona alle civiltà antiche grazie ai suoi racconti di storia greca e romana, e in particolare delle gesta degli eroi omerici narrate nell’Iliade. Colpito da tali vicende, si prefigge di ritrovare l’antica città di Troia, una volta divenuto grande. Rimasto orfano di madre a 9 anni, viene affidato alle cure di uno zio paterno, pastore, che lo fa preparare da un filologo per gli studi del ginnasio. Scuola, però, che Heinrich frequenta solo per pochi mesi, perché a soli 14 anni, a causa delle povere risorse finanziarie del padre, è costretto a iniziare a lavorare come garzone presso una drogheria della cittadina di Fürstenberg. Interrotto l’apprendistato per un incidente sul lavoro, a 19 anni si sposta ad Amburgo, ma, non riuscendo a trovare un’occupazione fissa, decide di tentare la fortuna in Sud America. La nave su cui s’imbarca, però, naufraga in Olanda, così Heinrich vi rimane per diversi anni lavorando come fattorino. In questo periodo impara da autodidatta l’inglese, il francese, l’italiano e il russo. Successivamente si trasferisce a San Pietroburgo dove avvia la sua carriera commerciale. A 28 anni ritenta la fortuna imbarcandosi per gli Stati Uniti, dove inizia ad arricchirsi prestando denaro ai cercatori d’oro. Processato per frode, però, è costretto a tornare in Europa, a San Pietroburgo, dove sposa la figlia di un avvocato e riesce ad arricchirsi durante la guerra di Crimea, rifornendo le truppe dello zar di vettovaglie e materiale bellico. Dopo aver studiato ebraico, arabo e spagnolo, motivato dalla sua passione mai sopita per le opere omeriche, decide di studiare il greco antico in modo da poterne leggere i testi originali, evitando così errori di traduzione o cattive interpretazioni altrui. Divenuto un affermato commerciante, nel 1868 decide di ritirarsi dagli affari e d’investire tutte le sue ricchezze per intraprendere la ricerca della città di Troia, desiderio che aveva custodito dall’infanzia: «Ma anche in mezzo ai vortici della vita degli affari non avevo mai cessato di pensare a Troia e alla decisione di scavarla, secondo l’antico accordo del 1839 con mio padre e con Minna. Il mio cuore era sempre attaccato al denaro, ma solo perché lo consideravo un mezzo per raggiungere questo grande scopo della mia vita».
Separatosi dalla moglie, l’anno successivo si risposa con una giovane ateniese appassionata di Omero, con cui viaggia in Cina, Giappone, Italia, Grecia e Turchia dove, recatosi presso la collina di Hissarlik, luogo che la tradizione indicava come possibile sito della città di Troia, dà inizio agli scavi archeologici, seguendo le indicazioni e le descrizioni dei testi omerici.
Il 4 agosto 1872 rinviene vasellame, oggetti domestici, armi e resti di mura: le fondamenta di otto città diverse, costruite l’una sulle rovine dell’altra. Heinrich identifica quelle della Troia omerica nel II strato, in cui nel 1873, prima di sospendere gli scavi, scopre un gran tesoro da lui ritenuto appartenente a Priamo. Dopo la sua morte si scoprirà che le rovine di Troia corrispondevano invece al VII strato. Dopo aver compiuto altri importantissimi scavi archeologici a Micene fra il 1874 e il 1879, sulla base delle indicazioni del geografo greco Pausania, muore a Napoli nel 1890, dove si trovava in attesa di nuovi permessi di scavo.
ALBA DE CÉSPEDES

Roma 11.3.1911 – Parigi 14.11.1997
Alba de Céspedes nasce a Roma nel 1911 da madre romana e padre cubano, ambasciatore di Cuba in Italia e più tardi, nel 1933, presidente di Cuba per alcuni mesi. Cresciuta in una famiglia benestante e politicamente impegnata in senso progressista e antifascista, sviluppa una spiccata propensione per l’impegno politico mosso dalla sua insopprimibile esigenza di garantire al popolo libertà e giustizia. Bilingue italo-spagnola, scrive le sue opere prevalentemente in italiano. Nel 1935 pubblica la sua prima raccolta di racconti brevi L’anima degli altri a cui seguono raccolte di versi e romanzi. Il suo primo romanzo Nessuno torna indietro viene pubblicato nel 1938 dal suo caro amico, Arnoldo Mondadori, che la sostiene strenuamente nel momento in cui il regime fascista ne ordina la censura, scongiurandola. Durante la Seconda guerra mondiale partecipa alla Resistenza lavorando alla radio con lo pseudonimo Clorinda. Nel 1944 fonda e dirige la rivista di politica e letteratura «Mercurio», conoscendo e collaborando con numerosi grandi scrittori del tempo. Chiusa tale rivista, collabora con il settimanale «Epoca», curando la rubrica Dalla parte di lei, e con il quotidiano «La Stampa» di Torino. Nel frattempo scrive nuovi romanzi, raccolte di poesie e si occupa della stesura di copioni teatrali, cinematografici e di programmi per radio e televisione.
Trasferitasi in Francia, dove continua la sua opera di scrittrice e poetessa, muore a Parigi nel 1997.
COLUM MCCANN

Dublino 28.2.1965
Colum McCann è tra i più noti autori contemporanei. Nato e cresciuto a Dublino, vive da tempo a New York dove insegna al MFA program (scrittura creativa) all’Hunter College.
Ha vinto prestigiosi premi letterari, tra cui il National Book Award nel 2009 con il romanzo Questo bacio vada al mondo intero (titolo originale Let the Great World Spin), pubblicato da Rizzoli nel 2010.
Nel 2003 l’Esquire Magazine l’ha nominato uno dei migliori scrittori viventi.
PIERLUIGI CAPPELLO

Gemona del Friuli 8.8.1967 – Cassacco 1.10.2017
«Pierluigi era un poeta molto letto e amato, che si era meritato importanti riconoscimenti: aveva vinto il premio Viareggio, aveva ricevuto la laurea honoris causa dell’Università di Udine, aveva ottenuto il premio letterario internazionale Terzani, ed è stato l’ultimo poeta insignito del premio Montale, un premio nobile che “poi – come sottolineava autoironico – non è stato più assegnato e io sono l’unico che per mancanza di fondi non ha ricevuto l’assegno”. Ed era altresì un poeta che aveva saputo catturare anche lo spirito pop di Jovanotti, che ha firmato la prefazione della sua ultima raccolta dal titolo allusivo Stato di quiete (Rizzoli).
Era un poeta, sì, ma avrebbe potuto essere anche un atleta (era stato un promettente centometrista), e un pilota di aerei (il volo era la sua passione fin dai tempi delle elementari), se a sedici anni, in uno sventurato pomeriggio, non avesse accettato un passaggio in moto da un amico. Di lì a poco, la moto uscì di strada, finì contro una roccia, l’amico morì, Pierluigi riportò lesioni gravissime che hanno trasformato la sua esistenza in un calvario ospedaliero, e l’hanno costretto poi per sempre su una sedia a rotelle: una gabbia nonostante la quale la sua poesia è pur scaturita. «Per scrivere bisogna poter mobilitare tutte le risorse, avere la disponibilità di un corpo che ti risponde. La scrittura passa per una unità biologica fatta di testa e corpo. Avere intere regioni che non comandi richiede uno sforzo enorme»: così Pierluigi ebbe a rispondere, in un’intervista del 2013, a chi gli chiedeva se scrivesse grazie alla malattia oppure nonostante la malattia. «Nonostante tutto, la poesia arriva», affermava (perché, di fatto, solo una cosa riusciva a farlo arrabbiare, ed era quando qualcuno gli diceva che si era potuto dedicare alla poesia proprio in quanto impedito nel corpo…).
La biografia di Pierluigi Cappello è segnata da pochi, ma decisivi avvenimenti: il terremoto, l’incidente, le tappe della carriera poetica. Cappello era nato a Gemona nel 1967, ma era originario di Chiusaforte, piccolo comune del Friuli, terra di montagna e di confine, il luogo della sua adolescenza, che lui descriveva come «una sottile linea di case infilata in un canale». Dopo il terremoto che il 6 maggio 1976 distrusse Gemona, è vissuto per anni a Tricesimo, in provincia di Udine. Da questo luogo appartato si è dedicato agli studi, alla poesia, attento e partecipe agli accadimenti del mondo, sebbene a distanza. Nonostante il disagio che gli procuravano i viaggi pur brevi, si recava di tanto in tanto a parlare nelle scuole. Nel 2006 ha pubblicato quasi tutte le raccolte delle sue poesie in Assetto di volo (Crocetti Editore); per questo libro ha vinto il Premio Nazionale Letterario Pisa. È del 2010 il riconoscimento più prestigioso: il premio Viareggio per la raccolta Mandate a dire all’imperatore. Si recò a riceverlo personalmente, affrontando una traversata dell’Appennino tanto faticosa quanto gioiosa, in ambulanza, assistito e festeggiato da una corona di amici. Una summa della sua produzione poetica è contenuta in Azzurro elementare. Poesie 1992-2010 (Rizzoli 2013). Ha scritto anche una raccolta di filastrocche usando “parole bambine” dedicate alla nipotina Chiara (Ogni goccia balla il tango, Rizzoli 2014). Nel 2014 ha pubblicato il romanzo autobiografico Questa libertà (Rizzoli). Nonostante la salute sempre più compromessa, ha pubblicato infine Stato di quiete. Poesie 2010-2016 (Rizzoli, 2016). Gli ultimi anni li ha trascorsi a Cassacco, dove il 1 ottobre 2017 si è spento, o – per meglio dire – se ne è andato verso inniò, ossia “in nessun dove”, se così possiamo tradurre l’antica parola friulana che dà il titolo a una sua poesia: “Jo? Jo o voi discôlç viers inniò” (Io? Io vado scalzo verso inniò).
Cappello era poeta bilingue, come Pasolini, e usava i due strumenti espressivi in un movimento pendolare tra cose che chiedono di essere dette in friulano e cose che chiedono di essere dette in italiano: si poneva davanti al dialetto come a una lingua che può ancora esprimere la verginità di un’alba, pur nella constatazione della perdita ormai definitiva della civiltà contadina cui quella lingua, e con lei i parametri culturali da essa espressi, appartenevano. Contemporaneamente, lavorava in un italiano sorvegliatissimo, colto ed essenziale, sempre sottoposto al labor limae. Il poeta è un vasaio – sosteneva – l’ultimo artigiano rimasto. Per lui la poesia era uno sguardo pulito sulle cose che lascia le cose come stanno, illuminandole dall’interno, e questo richiede una misura severa» (Maria Rosa Tabellini, Pierluigi Cappello, il poeta che sapeva cogliere il «centro delle cose», 2 agosto 2018, www.laletteraturaenoi.it).
PRIMO LEVI

Torino 31.7.1919 – 11.4.1987
Nasce a Torino nel 1919 in una famiglia ebrea benestante: il padre è un ingegnere elettronico che, seppur spesso lontano per viaggi di lavoro, trasmette al figlio l’interesse per la scienza e per la letteratura. Finito il liceo classico, nel 1937 si iscrive alla facoltà di Chimica dell’Università di Torino, dove comincia a frequentare gli ambienti antifascisti. Nonostante l’entrata in vigore in Italia, nel novembre 1938, delle leggi razziali, riesce a laurearsi nel 1941, dal momento che esse vietano agli ebrei l’accesso alle scuole pubbliche e ai corsi universitari, ma concedono di terminare tali studi ai già iscritti. Trovato lavoro presso una fabbrica svizzera di medicinali, nel 1942 si trasferisce a Milano, dove, venuto in contatto con ambienti antifascisti militanti, entra nel Partito d’Azione clandestino. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, seguito alla caduta di Mussolini, si rifugia in montagna e si unisce a un gruppo partigiano operante in Val d’Aosta, dove viene catturato dalla milizia fascista nel dicembre 1943. Preferendo dichiararsi ebreo piuttosto che partigiano, viene trasferito nel campo di prigionia di Fossoli, vicino a Modena. Da qui nel febbraio 1944 viene deportato insieme agli altri ebrei nel campo di sterminio di Auschwitz in Polonia, dove comincia ad annotare clandestinamente la terribile esperienza degli internati. Dopo la liberazione da parte dell’Armata Rossa, avvenuta il 27 gennaio 1945, inizia con gli altri pochissimi superstiti un lunghissimo viaggio di ritorno verso l’Italia, dove faticosamente tenta di riprendere una vita normale lavorando come chimico presso alcune ditte. L’urgenza di testimoniare quello che ha visto e vissuto, però, lo incalza a scrivere di getto le sue memorie del lager, pubblicate nel 1946 col titolo Se questo è un uomo. Lo scarso successo di pubblico lo spinge poi a dedicarsi esclusivamente all’attività di chimico. Quando nel 1956 Einaudi ripubblica il libro, a seguito del grande successo di una mostra sulla deportazione a cui Levi aveva partecipato, il successo è enorme non solo in Italia, ma anche all’estero, come testimoniano le traduzioni in inglese, francese e tedesco. Nel 1963 Levi pubblica La tregua, racconto del viaggio di ritorno in patria dopo la liberazione, che vince la prima edizione del Premio Campiello. Ormai la scrittura affianca costantemente la professione chimica e Levi inizia a collaborare con alcuni quotidiani scrivendo articoli di contenuto tecnologico, raccolti nel volume Storie naturali nel 1967 e Vizio di forma nel 1971. Lasciato definitivamente il lavoro nel 1975, anno di pubblicazione della raccolta di racconti Il sistema periodico, legati alla sua attività di chimico, Levi si dedica esclusivamente alla scrittura e pubblica nel 1978 il romanzo La chiave a stella, con cui vince il Premio Strega. Nel 1982 con il romanzo Se non ora, quando? vince il Premio Campiello, mentre nel 1983 inizia la traduzione in italiano di importanti opere straniere e una serie di conferenze negli Stati Uniti, dove i suoi libri sono conosciuti e molto apprezzati. Nel 1986 ritorna alla riflessione sull’argomento dei campi di sterminio e sulle cause che li hanno generati con il saggio I sommersi e i salvati. Segnato tragicamente dal vissuto disumano del Lager, nel 1987 Primo Levi muore suicida nella sua casa di Torino.
MARC CHAGALL

Lëzna 7.7.1887 – Saint Paul de Vence 28.3.1985
Nasce nel 1887 a Lëzna presso Vitebsk, cittadina bielorussa allora facente parte dell’Impero russo, in una famiglia ebrea, di cui è il primo di nove figli. Frequenta la scuola ebraica cittadina, fino a quando nel 1906 riesce a convincere i propri genitori a fargli intraprendere la carriera artistica – espressamente vietata dalla Torah ebraica – iscrivendosi alla Scuola di pittura del maestro Yehuda Pen. Non ritrovandosi nello stile accademico del maestro, già l’anno successivo si trasferisce a San Pietroburgo, dove si iscrive all’Accademia Russa di Belle arti, presso cui conosce artisti di ogni scuola e stile. Tra il 1908 e il 1910 frequenta altre scuole di pittura, dove viene a conoscenza del grande fermento culturale e artistico presente in Francia, decidendo così di trasferirvisi. Nel confronto con diversi artisti impressionisti e cubisti, emerge sempre più la sua peculiare sensibilità: egli si sente più attratto dall’«aspetto invisibile [delle cose], della forma e dello spirito, senza il quale la verità esterna non è completa». In questo periodo di grandi difficoltà economiche, dipinge i suoi primi capolavori, in cui il ricordo della sua casa è predominante. Nel 1914, durante il ritorno a Vitebsk, si ferma a Berlino, dove un mercante d’arte gli organizza la prima personale nella propria galleria, la quale ha un ottimo successo di pubblico e critica. Poco dopo, però, scoppia la Prima guerra mondiale che, insieme alla successiva Rivoluzione russa, lo bloccano in patria fino al 1923. Durante questo periodo, lavora al Ministero della Guerra a Pietroburgo, dove conosce i grandi poeti russi del tempo, esegue le prime illustrazioni per libri e giornali, ed espone le proprie opere in alcune importanti collettive. Nominato dal ministro sovietico della Cultura, Commissario dell’arte per la regione di Vitebsk, vi fonda un Museo di arte moderna e una Libera Accademia d’Arte, che però ben presto verrà controllata dal Regime. Profondamente amareggiato, Chagall decide di lasciare la Russia e si trasferisce a Parigi, dove pubblica le sue memorie, articoli e poesie, e realizza illustrazioni varie. Durante la Seconda guerra mondiale si trasferisce a New York, dove frequenta gli altri artisti fuggiti dall’Europa, espone le proprie opere in numerose mostre, realizza imponenti scenografie teatrali e nuove illustrazioni. Ritornato in Europa nel 1948, dopo qualche anno si stabilisce in una tenuta in Provenza, dove comincia a cimentarsi anche con la scultura, la ceramica e il vetro, arrivando a realizzare imponenti vetrate. Si ricordano in particolari i cartoni delle vetrate della sinagoga del Medical Center Hadassah di Gerusalemme del 1960, la vetrata La pace della sede delle Nazioni Unite, a New York, del 1964 e le vetrate sul tema della Crocifissione e del Sacrificio di Isacco dell’abside della Cattedrale di Reims, in Francia, del 1974. Dal 1973 la casa di Chagall vicino a Nizza, che raccoglie le sue opere, per sua volontà viene aperta a tutti, col nome di Musèe National Message Biblique Marc Chagall. «Questi quadri, nel mio pensiero, non rappresentano il sogno di un popolo solo, ma dell’intera umanità. Ho voluto lasciarli in questa casa, perché gli uomini cerchino di trovarvi una certa pace, una certa spiritualità, una religiosità, un senso della vita. Non tocca a me commentarli. Le opere d’arte devono esprimersi da sé». Chagall muore a 97 anni a Saint Paul de Vence in Francia, nel 1985.
Le citazioni sono tratte da Il teatro dei sogni, Fondazione Mazzotta, Milano 1994.
MARIO UGGERI

Codogno 17.2.1924 – Merate 8.3.2004
Nato a Codogno nel 1924, Uggeri dimostra, sin dalla giovane età, un notevole talento per il disegno. Assistendo alla raccolta del granoturco memorizza i cavalli da tiro dei carri trasporto, per poi disegnarli una volta tornato a casa: è il padre che trasmettendogli la sua grande passione per i cavalli suscita in lui il desiderio di disegnarli in tutti i loro dettagli e movimenti. È l’inizio di una passione che diventerà lavoro. L’anatomia equina diventa una sua specialità e uno dei punti caratteristici della sua arte. All’età di dieci anni realizza per una compagnia teatrale locale dei fondali rappresentanti un bosco. Impiega colla di farina bianca e colori a base di terra: la scenografia è talmente apprezzata da venir utilizzata per parecchi anni. Lo stesso anno riceve in regalo una cassetta di colori a olio con i quali realizza il primo ritratto della madre. A quindici anni ottiene il permesso dal padre di poter svolgere un praticantato presso lo scultore Aleardi. Da lì a pochi anni scoppia la Seconda guerra mondiale ed egli si aggrega alle formazioni partigiane; viene catturato e deportato nel campo di concentramento di Dachau, nei pressi di Monaco di Baviera. Nel 1945, dopo la liberazione, fa ritorno a Milano e da questo momento inizia la sua escalation professionale. Collabora con diverse riviste e quotidiani fino a dare vita al personaggio e alla striscia Rocky Rider: western che avrà un grande successo nel mondo fumettistico fino al 1963. Inoltre collabora al «Corriere dei Piccoli» e poi al «Corriere dei ragazzi». A un certo punto della sua attività professionale smette di disegnare fumetti e si dedica all’illustrazione, lavorando anche per «Famiglia Cristiana», «Astra», «Salve».
Muore a Merate nel 2004.
CLAUDIO ABBADO

Milano 26.6.1933 – Bologna 20.1.2014
Nasce a Milano nel 1933 da genitori musicisti: il padre è prima insegnante di violino e poi vicedirettore del prestigioso Conservatorio “Giuseppe Verdi”, mentre la madre è pianista e scrittrice per bambini. Appassionatosi fin da piccolo alla musica, compie i suoi studi presso il Conservatorio di Milano specializzandosi in composizione, pianoforte e direzione d’orchestra. Il suo percorso lavorativo è segnato da grandi successi e riconoscimenti da tutto il mondo (dagli Usa al Giappone). Alla giovane età di trentacinque anni diventa direttore musicale del Teatro alla Scala.
La sua direzione porta all’innovazione del repertorio che vede la presenza di autori contemporanei e stranieri. Inoltre, allo scopo di divulgare la musica classica e sinfonica, nel 1972 organizza concerti per studenti e lavoratori, con agevolazioni e proposte mirate. Nel 1986 lascia la direzione della Scala di Milano per assumere prima il prestigioso incarico di direttore musicale generale della città di Vienna, e successivamente nel 1989 quello di direttore artistico dell’Orchestra Filarmonica di Berlino. Nel 2002 pone fine sia alla sua direzione berlinese che a quella di Vienna.
Viene ricordato l’ultimo concerto tenuto proprio a Vienna il 13 maggio dello stesso anno, conclusosi in modo unico: quattromila fiori lanciati dal pubblico sull’orchestra e trenta minuti di applausi.
È morto a Bologna nel 2014, dopo una lunga malattia.
ANDRE AGASSI

Las Vegas 29.4.1970
Nasce nel 1970 a Las Vegas, negli Stati Uniti, da madre statunitense e padre iraniano (con origini assire e armene); si trasferisce in America dopo essere stato pugile olimpionico per l’Iran, alle Olimpiadi del 1948 e del 1952. Già a quattro anni comincia a giocare a tennis, spinto dall’insistenza del padre che sogna per lui una carriera da campione. Ma proprio per queste pressioni ben presto finisce per detestare tale sport, nonostante vi eccella. Quando il padre ottiene che frequenti la famosa scuola di Nick Bollettieri in Florida, da cui sono usciti moltissimi campioni, Andre esprime la sua insofferenza con molteplici bravate. Contraddistinto da un autentico talento, già a sedici anni partecipa ad un torneo professionistico, posizionandosi novantunesimo nella top 100 della classifica mondiale. L’anno successivo vince il suo primo torneo professionistico, posizionandosi al venticinquesimo posto nella classifica mondiale. Nel 1988 è già uno dei migliori giocatori del mondo: ha vinto 6 tornei e guadagnato un milione di dollari di premi, grazie alle semifinali conquistate al Roland Garros e agli US Open, che gli valgono un piazzamento nei primi 10 al mondo. Nel frattempo diventa un personaggio anche al di fuori dei campi di gioco: i suoi capelli lunghi e le sue divise sgargianti contribuiscono a farlo conoscere in tutto il mondo. Dopo una stagione priva di soddisfazioni, fra il 1990 e il 1994 vince diversi titoli, arrivando a 7 nel 1995. I due anni successivi sono deludenti, anche perché risente di problemi fisici. Sposatosi con l’attrice Brooke Shields, sembra curarsi più della vita mondana che dell’attività sportiva, ma il loro rapporto s’incrinerà presto portandoli al divorzio nel 1999. Nel 1998 comincia una ripresa positiva, tanto che l’anno successivo riesce a vincere il Roland Garros e gli US Open, entrando nell’olimpo dei tennisti vincitori di un titolo per ogni torneo dello Slam e riconquistando il primo posto nella classifica mondiale. Negli anni successivi perde la prima posizione ma continua a vincere diversi tornei. Nel 2006 si ritira dopo aver giocato il suo ultimo US Open, salutato da una lunga ovazione del pubblico. È l’unico giocatore della storia del tennis maschile ad aver vinto almeno una volta tutti e 4 i tornei dello Slam (per un totale di 8 titoli), il Tennis Masters Cup, la Coppa Davis e la medaglia d’oro in singolare ai Giochi olimpici. Ha inoltre detenuto il primato di più vecchio numero uno al mondo fino al 18 febbraio 2018, quando è stato scavalcato dal campione Roger Federer.
Segnato dall’incontro con Nelson Mandela, da cui impara come «l’istruzione sia l’unico modo per cambiare il futuro», terminata la carriera sportiva si occupa a tempo pieno della sua fondazione volta all’istruzione dei ragazzi più sfortunati ed emarginati in America. Vive a Las Vegas con la moglie Stefanie Graf, campionessa di tennis che ha sposato nel 2001, e i due figli Jaden e Jaz Elle.
WALTER BONATTI

Bergamo 22.6.1930 – Roma 13.9.2011
“Il re delle Alpi”, come viene spesso chiamato, ha una carriera alpinistica tanto mirabile e luminosa quanto misteriosa e sofferta. Ottiene un’indiscussa fama tra i 19 e i 24 anni, aprendo numerose vie sulle Alpi, in particolare sul suo amato Monte Bianco, tanto da essere chiamato a partecipare alla gloriosa spedizione italiana del 1954 in Karakorum, che porta alla conquista del K2, la seconda vetta del mondo. Ma proprio in quella impresa accade qualcosa che provoca in Bonatti una terribile disillusione: la notte precedente all’arrivo in vetta da parte dei due alpinisti Lacedelli e Compagnoni, si trova costretto, per una trascuratezza dei compagni di spedizione, a bivaccare a più di 8.000 metri di altitudine senza tenda né sacco a pelo, con temperature inferiori ai 50 °C.
Negli anni successivi Bonatti predilige imprese alpinistiche in solitaria, fino alla sua ultima ascesa alpinistica: il 22 febbraio 1965 raggiunge la cima del Cervino, aprendo una nuova via sulla parete nord, in solitaria invernale. A soli 35 anni decide quindi di abbandonare l’alpinismo.
Le sue imprese non finiscono però qui: corrispondente di varie testate giornalistiche, viaggia in tutto il mondo: percorre il fiume Yukon in canoa, conquista la vetta del Kilimanjaro, cerca nella foresta tropicale le sorgenti del Rio delle Amazzoni, raggiunge la cima dell’Aconcagua, attraversa gli immensi deserti australiani, si inoltra nello sconfinato continente antartico. In numerosi libri ha raccontato, in uno stile semplice e partecipato, molte delle sue imprese.
Vite degli autori, POESIE
GIOVANNI PASCOLI

San Mauro di Romagna 31.12.1855 – Bologna 6.4.1912
Poeta nato a San Mauro di Romagna nel 1855, quarto di dieci figli.
Suo padre, amministratore delle proprietà del principe di Torlonia, venne ucciso con una fucilata e il suo assassino rimase impunito. Questo tragico fatto, cui sono dedicate le due famose poesie X agosto e La cavallina storna, segnò profondamente l’infanzia del poeta, che successivamente perse anche la madre e una sorella, e dovette con i suoi fratelli trasferirsi in collegio.
Frequentò il liceo e vinse una borsa di studio con cui poté iscriversi alla facoltà di Lettere all’Università di Bologna, dove fu allievo di Giosuè Carducci – di cui molti anni dopo ereditò la cattedra – e si laureò con il massimo dei voti. Visse una vita appartata, in compagnia della sorella Mariù, dedicata allo studio, all’insegnamento, alle traduzioni dal greco e dal latino, alla poesia.
Nel 1891 pubblicò la raccolta di poesie Myricae, apprezzata e recensita da Gabriele D’Annunzio, il cui titolo traduce il nome latino delle tamerici, piante molto comuni, citate dal poeta latino Virgilio per significare la sua predilezione per le cose umili e quotidiane.
Qualche anno dopo si trasferì con la sorella Mariù a Castelvecchio di Barga, in Toscana, e si dedicò all’insegnamento universitario a Bologna e in altre città italiane.
Nel 1903 uscirono la raccolta I canti di Castelvecchio e il saggio di poetica Il fanciullino.
Morì a Bologna nel 1912.
La sua poesia è cruciale nel passaggio tra l’Ottocento e il Novecento, perché coniuga in modo del tutto personale la tradizione e l’innovazione, ispirandosi ai classici e ponendo attenzione alle istanze della modernità, provenienti anche dalla letteratura estera.
Aprì la strada alla «poetica delle cose», ripresa poi da importanti poeti del Novecento, come Montale e Pavese, in cui gli oggetti sono simboli di ricordi, sentimenti, circostanze e il simbolo è via d’accesso per introdursi nel segreto della realtà.
I temi a lui cari – la morte e il senso del vivere, l’enigmaticità della realtà e il decadere degli ideali positivisti di fine Ottocento, l’infanzia come paradiso perduto e gli affetti familiari come nido in cui rifugiarsi, la natura e la vita in campagna – sono resi presenti al lettore con un linguaggio innovativo, coraggioso nello sperimentare elementi metrici e stilistici, nell’attingere al lessico comune, in alcuni casi tecnico – frequente la presenza di nomi specifici di animali e piante –, ma anche colto e dialettale, nel giocare con la sonorità delle parole per rendere viva la realtà denominata, utilizzando spesso l’onomatopea.
Ogni uomo, dice Pascoli ha un fanciullo dentro di sé, un «fanciullo eterno che vede tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta» e scopre il poetico delle cose, anche quelle più comuni e dimesse. Il poeta è colui che gli dà ascolto: «Comunque, parlo spesso con lui, come esso parla alcuna volta a me, e gli dico: Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporta nell’abisso della verità…» (G. Pascoli, Il fanciullino, 1987).
GABRIELE D’ANNUNZIO

Pescara 12.3.1863 – Gardone Riviera 1.3.1938
Terzogenito di cinque fratelli, Gabriele D’Annunzio fin da bambino è irrequieto e ribelle; è insofferente alle regole del collegio dove frequenta i primi studi, ma è un allievo brillante, intelligente, con un forte spirito competitivo. A sedici anni pubblica a spese del padre la sua prima raccolta poetica, Primo vere, e grazie al successo conseguito inizia a collaborare ai giornali letterari dell’epoca. Si iscrive alla facoltà di Lettere a Roma, dove conduce una vita sontuosa, ricca di amori e avventure che lo distraggono dagli studi. In breve tempo diventa una figura di primo piano della vita culturale e mondana romana. In questo periodo scrive anche il suo primo romanzo, Il piacere, ricco di riferimenti biografici: il protagonista, Andrea Spinelli, è un uomo raffinato, coltissimo e tutto dedito a «fare la propria vita come si fa un’opera d’arte».
Il tenore di vita eccessivamente lussuoso è la causa dell’indebitamento e delle difficoltà economiche che costringono D’Annunzio a fuggire in Francia. Tornerà in Italia nel maggio del 1915: la Prima guerra mondiale è scoppiata da un anno e quando l’Italia dichiara guerra all’Austria-Ungheria, subito il poeta si arruola come pilota. Partecipa a varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. In seguito a un incidente aereo viene ferito a un occhio ed è costretto a una lunga convalescenza durante la quale scrive il Notturno, un’opera in prosa in cui il poeta riunisce riflessioni e ricordi di quel periodo. Tornato all’azione e desiderando gesti eroici, si distingue in un volo su Vienna con il lancio di manifestini tricolori e, conclusa la guerra, guida una marcia per occupare la città di Fiume, contesa tra Italia e Regno di Jugoslavia.
Gabriele D’Annunzio trascorre gli ultimi anni della sua vita al Vittoriale, una eccentrica villa presso il Lago di Garda: viene trovato morto per un’emorragia cerebrale mentre era al suo tavolo da lavoro.
VINCENZO CARDARELLI

Corneto Tarquinia (Viterbo) 1.5.1887 – Roma 18.6.1959
Il vero nome del poeta è Nazzareno Cardarelli, e il cognome gli è dato dalla madre (il padre infatti si è rifiutato di riconoscerlo).
Vive in varie famiglie del paese natale, Corneto Tarquinia, e non potendo avere un’istruzione regolare è un autodidatta.
Giovanissimo si trasferisce a Roma, dove lavora soprattutto come giornalista. Esonerato dalla leva a causa di una menomazione al braccio sinistro, Cardarelli non partecipa alla Prima guerra mondiale.
Nel 1916 può così pubblicare il suo primo libro poetico, Prologhi. Vive tra Firenze, dove collabora alla rivista «La Voce», e la capitale, dove fonda «La Ronda» di cui assume la direzione.
Il passaggio dall’una all’altra rivista letteraria riflette un cambiamento del suo modo di fare poesia: dall’Ermetismo a una fase neorealista, da uno stile di trasgressione espressiva a uno stile composto e tradizionale.
A contraddistinguere la vita e l’opera di Cardarelli è la varietà, se non l’irrequietezza: viaggia molto, in Lombardia, Liguria ed Emilia; alterna prosa (del 1929 è Il sole a picco, uno dei risultati più apprezzati dell’autore) e poesia (del 1936 è l’edizione completa e quasi definitiva dei suoi componimenti).
Negli anni Quaranta e Cinquanta scrive molto poco, ritirandosi a vita privata.
Muore in povertà a Roma nel 1959.
DIEGO VALERI

Piove di Sacco (Padova) 25.1.1887 – Roma 27.11.1976
Cresce a Padova con la madre e i fratelli maggiori, in una situazione economica difficile per l’assenza del padre, ma riesce a conseguire la maturità classica e a laurearsi poi in Lettere; durante gli studi conosce Maria Minozzi, che diventerà sua moglie.
Dall’amato fratello Ugo, artista morto tragicamente, impara l’amore per la pittura e la bellezza dei paesaggi naturali, aspetto che emerge spesso nelle sue poesie, ispirate alle atmosfere e ai territori veneti.
La scrittura di poesie si affianca all’insegnamento, alle traduzioni dal francese e dal tedesco e alla scrittura di saggi su altri autori.
Negli anni dell’affermazione del fascismo, Valeri sceglie di non aderire all’ideologia dominante: per questo non potrà insegnare in università e sarà mandato a Venezia con un altro impiego. Nel ’43 sarà costretto all’esilio in Svizzera, nel campo di Mürren, a 2.500 metri d’altitudine, ma anche questi mesi di sofferenza (raccontanti nelle pagine di Taccuino svizzero e nella poesia Campo d’esilio) non spengono la passione e l’impegno per la letteratura e l’insegnamento, e il profondo legame con la famiglia (oltre alla moglie, le amate figlie Marina e Giovanna), sempre al primo posto nei suoi pensieri: «Io sono sempre dell’opinione che espressi una volta […]: che se avessi potuto scegliere prima le mie figliole, avrei scelto proprio voi […] È la pura verità: vi avrei fatto così come siete…».
Dopo la guerra Valeri incrementa il suo impegno politico e finalmente si consolida la sua carriera universitaria, sia a Padova sia collaborando con altri atenei italiani. La vecchiaia porta nuovi frutti: è ormai un poeta apprezzato, le sue raccolte liriche sono tradotte in diverse lingue, riceve numerosi premi e riconoscimenti in Italia e all’estero. Ma, nonostante questo, rimane un uomo schivo e riservato, come lui stesso afferma: «Non è nelle mie abitudini parlare tanto di me».
Quando, a oltre ottant’anni, comincia ad accusare problemi cardiaci, Valeri deve abbandonare a malincuore Venezia, la sua «città di pietra e di luce», in cui per lungo tempo ha vissuto e lavorato, e si trasferisce dalla figlia a Roma, dove si spegnerà qualche mese più tardi.
Sulla sua casa, in Calle Cereri n. 2448 B, c’è oggi una targa con la prima poesia (senza titolo, come molte altre di questo autore) della raccolta Calle del vento:
«Qui c’è sempre un poco di vento,
a tutte l’ore, di ogni stagione:
un soffio almeno, un respiro.
Qui da tanti anni sto io, ci vivo.
E giorno dopo giorno scrivo
il mio nome sul vento».
ALDO PALAZZESCHI

Firenze 2.2.1885 – Roma 17.8.1974
Aldo Palazzeschi, pseudonimo di Aldo Giurlani, nacque a Firenze nel 1885. Fu compagno del poeta Marino Moretti in una scuola di recitazione, in cui avviò la sua professione giovanile di attore. Aderì al movimento futurista, da cui poi si allontanò anche perché contrario all’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale, a differenza dei futuristi che inneggiavano alla guerra «sola igiene del mondo», come la definiva Marinetti. Abitò dapprima a Firenze, poi a Parigi e a Roma, dove morì nel 1974, e frequentò spesso Venezia. Pubblicò le sue prime raccolte poetiche, I cavalli bianchi, Lanterna e Poemi tra il 1905 e il 1909, con l’editore fittizio Cesare Blanc, in realtà il nome del suo gatto. Un’altra importante raccolta è L’Incendiario del 1910. Tornò in età matura alla poesia: la raccolta Cuor mio è del 1968, e nel frattempo scrisse anche opere in prosa, come Il codice di Perelà, 1911, e Sorelle Materassi, 1934, da cui fu tratto un famoso film.
Il suo stile, tra il fiabesco e il surreale, caratterizzato dall’uso di un lessico non ricercato, basico e da un ritmo cantilenante, e il suo tono spesso ironico e grottesco sono segni del dialogo canzonatorio, se non dissacrante, della sua poesia rispetto alla tradizione poetica precedente. Il futurista Marinetti lo definiva uno «spirito libero» e considerava la sua poesia Lasciatemi divertire «il più bel trattato di arte poetica». In una poesia Palazzeschi stesso si definisce «il santimbanco dell’anima mia», il poeta cioè è colui che gioca con le parole per intrattenere innanzitutto sé stesso. Una visione molto lontana dal concetto di poeta vate, tipico dell’Ottocento, quando si affidava allo scrittore il compito di interpretare e guidare i sentimenti e gli ideali del popolo.
RICCARDO BACCHELLI

Bologna 19.4.1891 – Monza 8.10.1985
Maestoso, inarrestabile e imponente, nella vita tanto quanto nella sua vastissima produzione, come il fiume protagonista attorno a cui si svolgono le vicende dei personaggi narrati nel suo romanzo-trilogia più famoso e importante, Il mulino del Po, concluso dopo tre anni di duro lavoro ormai nel pieno della maturità.
Bacchelli nasce in una ricca famiglia, in cui si coltivano la politica e la cultura: il padre è avvocato, la madre ha origini slave, ama la letteratura tedesca. Si diploma al liceo classico, ma poi, mosso dall’impazienza di dedicarsi alla scrittura e di immergersi dove è più vivo il dibattito letterario d’inizio Novecento, non arriva alla laurea in Lettere. La sua prima opera esce a fascicoli, a sue spese. Si trasferisce a Firenze, vera capitale culturale dell’epoca. Da qui è un avvicendarsi di eventi, città e scritti: la Grande Guerra, Roma, le collaborazioni con le riviste culturali più importanti lo vedono sempre in prima linea e impegnato a cimentarsi in diversi generi letterari, dalla poesia alla narrativa, dal teatro al romanzo storico, fino ai saggi e all’opera di critico. Nessuna tematica gli è indifferente, il suo racconto è pieno di digressioni e commenti, varie e diversificate sono le ambientazioni dei suoi testi; il suo stile è rigoroso, curato, con un lessico colto.
Col passare del tempo arrivano anche i riconoscimenti pubblici, i viaggi, nuovi incarichi e nuove opere; solo la salute, inesorabilmente, peggiora, fino a renderlo cieco e infermo, e questa condizione porta gravi difficoltà economiche, tanto che il governo approva velocemente una legge (per questo si ricorda come “legge Bacchelli”) che prevede un aiuto economico per coloro che si sono distinti nel mondo della cultura, dell’arte, dello sport ma che si trovano in difficoltà.
Bacchelli non potrà goderne perché si spegnerà poco tempo dopo, assistito dalla moglie Ada.
EUGENIO MONTALE

Genova 12.10.1896 – Milano 12.9.1981
Nato a Genova, trascorre l’infanzia e la giovinezza in Liguria con i suoi cinque fratelli. Si diploma in ragioneria, ma coltiva al contempo i suoi interessi letterari frequentando le biblioteche cittadine e assistendo alle lezioni private di filosofia della sorella Marianna. Partecipa alla Prima guerra mondiale come ufficiale di fanteria e si distingue per il suo impegno contro il fascismo, sottoscrivendo nel 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.
Lavora a Firenze come redattore, dove incontra Drusilla Tanzi che diventa sua moglie, e dove partecipa all’esperienza della rivista letteraria «Solaria», insieme ad altri importanti letterati. Nel 1948 si trasferisce a Milano, dove diviene redattore per il «Corriere della Sera» e critico musicale.
Poeta famoso già in vita, nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura, tre lauree honoris causa e viene nominato senatore a vita.
Nelle sue raccolte, tra cui le prime e le più conosciute sono Ossi di seppia (1925) e Le occasioni (1939), offre al lettore liriche dai temi esistenziali, sempre incarnati in elementi concreti, quali il paesaggio delle Cinque Terre, o persone a lui care, come la moglie, soprannominata Mosca per i suoi occhiali spessi, e la critica letteraria Irma Brandeis, da lui chiamata Clizia.
Per incontrare direttamente il poeta, la sua vita e la sua poetica suggeriamo la visione di due interviste, presenti negli archivi della RAI:
- www.letteratura.rai.it/articoli/eugenio-montale-parto-sempre-dal-vero/3413/default.aspx
- www.letteratura.rai.it/articoli/eugenio-montale-si-racconta/1162/default.aspx
MASSIMO BONTEMPELLI

omo 12.5.1878 – Roma 21.7.1960
Massimo Bontempelli nasce a Como nel 1878. A causa del lavoro del padre, ingegnere presso le Ferrovie dello Stato, la famiglia si sposta in diverse città italiane, così lo scrittore porta a termine gli studi prima al liceo classico “Parini” di Milano, poi all’Università di Torino, dove si laurea in Lettere e Filosofia. Si dedica quindi all’insegnamento fino al 1910, anno in cui si trasferisce a Firenze e inizia a lavorare come giornalista e autore di testi scolastici. Nel 1915 Bontempelli è a Milano, dove lavora presso l’Istituto editoriale italiano, che si occupa della pubblicazione dei classici italiani, e allo scoppio della Prima guerra mondiale è corrispondente di guerra dal fronte, poi artigliere dal 1917. Tornato a Milano alla fine del conflitto, pubblica nel 1920 La vita intensa e nel 1921 La vita operosa, romanzi che rivelano un brillante estro comico fondato sul paradosso e sull’effetto a sorpresa, sostenuto da una prosa giocosa, attraverso cui l’autore descrive in maniera fantasiosa le trasformazioni e i ritmi vorticosi della vita della Milano del dopoguerra.
Pur continuando le collaborazioni con riviste e quotidiani, Bontempelli si dedica con maggior impegno alla letteratura, pubblicando nel 1922 La scacchiera davanti allo specchio e Eva ultima nel 1923, romanzi in cui esprime la sua personale visione della scrittura, denominata “realismo magico”: ponendosi come obiettivo il superamento della tradizione narrativa ottocentesca, ancorata a schemi ormai vetusti, lo scrittore deve essere capace di rintracciare nella realtà più banale di tutti i giorni i segni del mistero e del fantastico, filtrandoli poi attraverso l’intelligenza e l’ironia. Fondamentale per la formulazione di questa originale poetica è il soggiorno a Parigi tra il ’20 e il ’21, dove lo scrittore fa la conoscenza delle avanguardie surrealiste, attratte dal mondo inesplorato dell’inconscio e del sogno. Assai importanti sono anche la vicinanza al movimento Futurista e l’amicizia con Luigi Pirandello, nata dall’interesse profondo di Bontempelli per il teatro, per il quale scrive alcune opere. Insieme a Curzio Malaparte fonda nel 1926 la rivista letteraria «900», pensata come strumento di conoscenza delle esperienze letterarie straniere. Nel 1930 viene nominato Accademico d’Italia. Pur avendo aderito ad alcune istanze del fascismo, la crescente insofferenza per la pesante intromissione del regime nella vita intellettuale e letteraria del paese lo portano nel 1939 all’espulsione dal partito fascista e al confino. Continua intanto la produzione di romanzi e di saggi critici. Dopo la Seconda guerra mondiale la sua elezione al Senato viene annullata per la passata adesione al regime fascista; nel 1953 vince il premio Strega con la raccolta di racconti L’amante fedele. A causa di una grave malattia, che gli rende difficoltoso scrivere negli ultimi anni, Massimo Bontempelli muore a Roma nel 1960.
SANDRO PENNA

Perugia 12.6.1906 – Roma 21.1.1977
Gli anni della sua giovinezza sono un groviglio di percorsi contrastanti, tra doveri e passione per la letteratura: si diploma in Ragioneria con la prospettiva di aiutare il padre commerciante, con cui vive a Perugia insieme al fratello Beniamino, mentre la madre vive a Pesaro con la figlia più piccola Elda. La sua formazione poetica è condotta da autodidatta: ama leggere e studiare i moderni scrittori europei e italiani e ha la fortuna di conoscere e incontrare numerosi artisti, come Tommaso Marinetti, fondatore del movimento futurista. Scopre anche la scrittura come possibilità di riflettere e indagare maggiormente le proprie qualità e il proprio carattere, come testimoniano una poesia e alcune pagine di un diario iniziato dopo la separazione dei genitori.
È però l’amicizia con Umberto Saba che lo metterà in contatto con diversi gruppi poetici italiani e si impegnerà a far pubblicare alcuni suoi lavori, a fargli decidere di dedicarsi alla scrittura di poesie. La caratteristica più evidente del suo stile è un’immediatezza, una semplicità solo apparenti, pennellate di rapide immagini da cui emerge però un profondo desiderio di vita e una costante attenzione alla struttura e alla musicalità dei versi.
La vita e l’attività tra Roma e Firenze gli permettono di conoscere i poeti più importanti di quegli anni, tra cui Eugenio Montale, con cui rimane in corrispondenza per alcuni anni, e Giuseppe Ungaretti. Per mantenersi e continuare a scrivere, Penna è disposto a trasferirsi spesso e a svolgere i lavori più diversi: contabile, allibratore di corse di cavalli, commesso, mercante d’arte e, più tardi, di libri rari.
Molto famosa è la lirica (formata da due soli versi endecasillabi) che chiude la sua prima raccolta, Poesie, e oggi riportata anche sulla targa che il comune di Perugia ha affisso alla casa in cui il poeta è nato: «Io vivere vorrei addormentato / entro il dolce rumore della vita».
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale sembra arrivare un periodo di maggior stabilità: l’autore si trasferisce definitivamente a Roma, dove intrattiene numerosi rapporti con artisti e intellettuali, aumentano le pubblicazioni, a cui si aggiungono anche alcune traduzioni di opere straniere, che consolidano la sua fama e gli permettono di ricevere alcuni riconoscimenti letterari.
Nonostante questo, però, negli ultimi anni della sua vita Penna inizia a isolarsi sempre più dal contatto con gli altri, arrivando addirittura a chiudere le persiane della sua casa per non far entrare la luce del sole. E proprio qui viene trovato senza vita dall’amico poeta Elio Pecora, che ne raccoglie le carte e permette l’edizione postuma: Confuso sogno.
VINCENT VAN GOGH

Groot-Zundert 30.5.1853 – Auvers-sur-Oise 29.7.1890
È difficile trovare qualcuno che non conosca il nome di Vincent van Gogh, che non abbia negli occhi i colori dei suoi autoritratti, dei suoi girasoli, della sua sedia o della sua stanza: la sua arte, così vera e acuta, così povera e umana, vive e incontra gli uomini di ogni tempo.
Così pure, solo pochi non sono a conoscenza del suo suicidio, avvenuto all’età di soli trentasette anni: una conclusione tanto drammatica avvolge la vita del pittore in una aura di sacra drammaticità, come se contraddicesse e testimoniasse la terribile intensità della sua vita, la verità di quei colori così accesi e di quelle pennellate così drammatiche, la profondità degli sguardi magnetici che ci guardano dai suoi quadri.
Non si finisce però mai di stupirsi a pensare che in una vita sofferta e mai quieta, Vincent riuscì a vendere un solo quadro; non si finisce mai di stupirsi a pensare che i suoi quadri più celebri, quelli che hanno rivoluzionato la storia della pittura, sono stati da lui dipinti nel corso di soli tre anni, anni in cui visse tra la Provenza e il nord della Francia, prima di morire.
Nato in Olanda nel 1853, figlio di un pastore protestante, dopo aver provato con scarso successo la professione del mercante d’arte, aveva seguito le orme del padre senza però riuscire ad iscriversi alla facoltà di teologia; aveva dunque deciso di intraprendere la carriera di predicatore laico, prima in Inghilterra e successivamente presso una comunità di minatori in Belgio. La passione per l’arte e per il disegno lo accompagnavano da sempre: a partire dal 1881 il fratello Theo decise di finanziarlo affinché potesse finalmente intraprendere la carriera di pittore, che lo avrebbe portato a un enorme successo, anche se solo dopo la morte. Le lettere tra i due fratelli, giunte fino a noi, sono una fedele testimonianza della loro profonda amicizia e raccontano l’amore infinito del pittore per il mondo, per la vita e per il proprio lavoro.
DINO CAMPANA

Marradi 20.8.1885 – Scandicci 1.3.1932
Dino Campana è in prima liceo quando comincia a dare segni di uno squilibrio mentale che lo segnerà per tutta la vita. Ottiene a fatica il diploma e si iscrive all’università, ma presto interrompe gli studi e inizia a viaggiare: prima in Italia settentrionale, poi in Svizzera, in Francia. Nel 1908 parte per l’Argentina: è una delle esperienze più significative della sua vita. Qui si sposta da un luogo all’altro a piedi ed esercita i mestieri più diversi per guadagnarsi da vivere (fa il suonatore di triangolo nella marina argentina, lo sterratore, il garzone, lo stalliere, il poliziotto). Tornato in Italia e scoperta la sua vocazione letteraria inizia a frequentare un gruppo di giovani intellettuali, ma tra loro c’è incomprensione ed egli resterà sempre ai loro occhi il “poeta pazzo” che non è degno di attenzione. In una lettera scritta da Dino Campana all’editore Prezzolini per chiedergli di pubblicare le sue poesie, il giovane letterato si presenta in questo modo: «Io sono quel tipo che le fui presentato dal signor Soffici all’esposizione futurista come uno spostato, un tale che a tratti scrive delle cose buone. Scrivo novelle poetiche e poesie; nessuno mi vuole stampare e io ho bisogno di essere stampato; per provarmi che esisto, per scrivere ancora ho bisogno di essere stampato. Aggiungo che io merito di essere stampato perché io sento che quel poco di poesia che so fare ha una purità di accento che oggi è poco comune da noi».
Sarà una delusione gravissima quando la persona a cui Dino Campana aveva consegnato il manoscritto dei Canti orfici, prima raccolta dei suoi scritti, con la speranza di averne un giudizio, confesserà di avere smarrito il lavoro! Senza perdersi d’animo li riscrisse a memoria, pubblicando l’opera nel 1914 a sue spese. Nel gennaio 1918 viene ricoverato presso l’ospedale psichiatrico di Castel Pulci: non ne uscirà più.
GIORGIO CAPRONI

Livorno 7.1.1912 – Roma 22 .1.1990
Nato a Livorno, dove trascorse la sua prima infanzia nel 1912, a dieci anni si trasferì a Genova con la famiglia. Si cimentò in diversi mestieri: violinista, commesso, impiegato, insegnante elementare, collaboratore di giornali e riviste letterarie. Nel 1939 si trasferì a Roma, dove tornò definitivamente dopo aver combattuto sul fronte francese durante la Seconda guerra mondiale e dopo aver partecipato alla Resistenza. Si avvicinò alla poesia a partire dall’amore per la musica, introdotto dai libri del padre e dall’incontro con l’opera di grandi poeti, come Dante, Ungaretti e Montale. La sua prima raccolta poetica, Come un’allegoria, del 1936, è ispirata dalla morte per setticemia della fidanzata. L’anno dopo sposò Lina Rettagliata, da cui ebbe due figli. Altre sue famose raccolte sono Ballo a Fontanigorda, Il seme del piangere e la raccolta postuma Res amissa, pubblicata l’anno successivo alla sua morte, avvenuta a Roma nel 1990.
Temi a lui cari sono le città di Livorno e Genova, viaggi, paesaggi urbani e marini colti in momenti topici della giornata e la figura di sua madre Anna Picchi, cantati nei suoi versi densi di rime, assonanze e consonanze, i cui accostamenti sonori generano immagini e significati non scontati, capaci di muovere la fantasia, i ricordi e le riflessioni del lettore.
Il poeta, dice Caproni, è paragonabile a un minatore: «Con la poesia, partendo da fatti autobiografici, si scava in sé stessi, ma si va proprio in giù, come un minatore, e si può trovare una zona dell’io che è di tutti, soltanto che negli altri dormiva. Partendo dai laterizi delle proprie esistenze, e costruendo con tali laterizi le proprie metafore, il poeta riesce a chiudersi e a inabissarsi talmente in sé da scoprirvi, ripeto, quei nodi di luce che sono di tutta intera la tribù» (Giorgio Caproni, Il mondo ha bisogno dei poeti. Interviste e autocommenti 1948-1990, a cura di Melissa Rota, Firenze University Press, 2014, p. 209).
CARLO BETOCCHI

Torino 23.1.1899 – Bordighera 25.5.1986
A diciotto anni si trova coinvolto nella Prima guerra mondiale: nel 1917 partecipa alla ritirata di Caporetto e successivamente alla resistenza sul Piave. Terminata la guerra lavora come geometra in Toscana, costruendo strade, ponti, argini. Intanto nasce il suo amore per la letteratura. Passano però diversi anni prima che, nel 1932, sia pubblicata la sua prima raccolta di poesie, dal titolo: Realtà vince il sogno. A seguito di una malattia contratta nei cantieri, nel 1953 è costretto ad abbandonare la professione di geometra. Inizia allora a insegnare italiano presso il Conservatorio musicale, prima a Venezia e poi a Firenze e, nel 1958, diventa redattore della trasmissione radiofonica L’Approdo.
«Di statura media, un po’ curvo, vestiva normalmente di scuro. Aveva smesso da tempo il lavoro nei cantieri, ma gliene era rimasto addosso come un velo di polvere impalpabile. Anche le mani erano quelle di un uomo avvezzo a trattare con gli arnesi del mestiere. Aveva il viso bruno un poco arrossato; gli occhi scuri sbirciavano ridenti di sotto le palpebre un poco abbassate. A vederlo, un uomo di poco conto, desideroso di non apparire. Guai ad accennare nel corso della conversazione ai suoi meriti poetici. Si metteva a parlare d’altro, o meglio di altri». Con queste parole lo scrittore Manlio Cancogni ricorda l’amico letterato.
La modestia e l’umiltà non sono soltanto un atteggiamento, ma sono all’origine stessa della poesia di Betocchi, che in un’intervista racconta: «Cominciai coi primi canti a dire il meno che potessi di me e il più che potessi dell’ignoto essere che mi circondava». Agli amici più intimi Betocchi confidava che talvolta gli capitava di «balzare addirittura dal sonno, lucidissimo», destato da un «flusso veemente che avevo dentro e che s’era fatto parola che mi buttavo a trascrivere». In questo modo al poeta sembrava di partecipare al gran mistero della creazione. E dopo, guardando la propria opera, si stupiva come se fosse di un altro. Forse con lo stesso sentimento di meraviglia e di gratitudine gli sarà capitato di guardare, negli anni trascorsi come edile, un ponte o l’argine di un fiume.
CESARE PAVESE

Santo Stefano Belbo 9.9.1908 – Torino 27.8.1950
Da piccolo è un bambino di poche parole, rifugge la gente e ama vagabondare per i boschi delle Langhe piemontesi. A diciotto anni traccia un impetuoso ritratto di sè: si definisce «incapace, timido, pigro, malcerto, debole, mezzo matto». Già in quegli anni era interessato alla poesia, nella ricerca di qualcosa «che duri eterno». Non riesce a partire per la Columbia University come avrebbe voluto, ma non smette di pensare all’America: legge e inizia a tradurre scrittori inglesi e americani, attività che ha un peso importantissimo per la sua personale formazione artistica e per la cultura italiana. Tuttavia il problema di come mantenersi comincia a porsi con una certa urgenza. Ed ecco allora che Cesare Pavese, su insistenza della sorella Maria, si iscrive anche al Partito Fascista per avere la possibilità di insegnare nelle scuole pubbliche. È una cosa che anni dopo rimprovererà a Maria: «A seguire i vostri consigli, e l’avvenire e la carriera e la pace ecc., ho fatto una prima cosa contro la mia coscienza». Sono anni di intenso lavoro e probabilmente, almeno in parte, di serenità: «Studierò e lavorerò per fare della mia vita la cosa migliore e più bella di cui sarò capace» scriveva. Fra il 1935 e il 1936, per i suoi rapporti con intellettuali antifascisti, viene arrestato, processato e inviato al confino a Brancaleone Calabro; qui inizia Il mestiere di vivere, una sorta di diario in cui l’autore annota i suoi pensieri sotto forma di appunti. Le sue opere di narrativa sono tante e lo portano alla notorietà; quelle di poesia sono solo due: Lavorare stanca, e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. La vita di Cesare Pavese è segnata da un profondo senso di solitudine e vuoto, come testimonia una pagina del suo diario in cui si legge: «Hai la forza, hai il genio, hai da fare. Sei solo. […] Tutti ti ammirano, ti complimentano, ti ballano intorno. Ebbene? […] Conti qualcosa per qualcuno?».
Viene trovato morto, a soli 42 anni, per effetto di una dose eccessiva di sonnifero.
SALVATORE QUASIMODO

Modica 20.08.1901 – Napoli 14.06.1968
Nato a Modica nel 1901, Salvatore Quasimodo si trasferisce con il padre ferroviere a Messina, appena distrutta dal terremoto. È il primo di una serie di spostamenti: prima a Palermo, dove segue gli studi tecnici, poi a Roma, dove inizia ingegneria. Ma deve lavorare per vivere: in particolare, Quasimodo è assunto come ingegnere al Genio civile, che lo costringe a operare in diverse regioni italiane, dalla Calabria alla Liguria, dalla Sardegna alla Lombardia. Solo a Milano Quasimodo trova una sistemazione stabile lavorando come giornalista. Notevole è anche la sua opera di traduttore, in particolare degli antichi greci. Finalmente, nel 1941, divenuto già una celebrità poetica, è nominato per chiara fama professore di letteratura italiana al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Nel 1942 esce Ed è subito sera, che raccoglie tutta la sua produzione precedente. Questa raccolta segna la fine del periodo ermetico di Quasimodo. Nel 1943 infatti –con la caduta del fascismo e con la durezza degli ultimi anni di guerra – inizia l’impegno neorealistico. Pur conservando l’idea che la poesia ha un punto di vista superiore e privilegiato (propria della concezione ermetica), Quasimodo, a partire dalla raccolta Giorno dopo giorno (1947), opta per una poesia più ideologica e politica, come richiedono i tempi. Giorno dopo giorno è la raccolta della solidarietà e della pietà umana, sullo sfondo di una storia che si è trasformata in delirio, tra deportazioni e macerie.
Nel 1959 a Quasimodo viene assegnato il premio Nobel per la letteratura.
Nel 1968 muore improvvisamente a Napoli a causa di una emorragia cerebrale.
IONE DI CEO (CHIO)
Chio 480 a.C. circa – Atene 421 a.C. circa
La tragedia è sempre stata considerata come la manifestazione più alta e geniale della complessa e variegata civiltà della Grecia antica. Era un genere definito nelle tematiche e nelle forme, ma aveva sempre e necessariamente un contatto stretto con l’attualità e il pubblico. D’altronde nelle feste principali la rassegna teatrale era centrale e l’autore vincitore, eletto da una giuria rappresentante del popolo, era tenuto in gran conto. Partecipando a tali rassegne Ione di Chio conobbe i personaggi più importanti della vita ateniese, come Sofocle, Eschilo e Socrate, ed ebbe il coraggio di scontrarsi con alcuni di essi, come con Pericle, il fondatore della dominazione ateniese.
Figlio del poeta Oromene, Ione ha il suo esordio letterario alla 82a Olimpiade, con una tragedia. Nella sua carriera ha composto diversi testi teatrali, incerti nel numero e nei titoli, testi poetici, ma anche filosofici, storici e più propriamente aneddotici.
È nell’ambito tragico che riscosse il maggior successo: i suoi testi erano considerati esemplari del genere. Solo più tardi fu apprezzato anche come lirico e storiografo. Della sua produzione, oggi si conoscono solo pochi frammenti. Quel che tuttavia ancora si apprezza è lo stile semplice ed elegante, che ricorre a un lessico quotidiano per creare delle immagini vivide.
CLEMENTE REBORA

Milano 6.1.1885 – Stresa 1.11.1957
Clemente Rebora nasce a Milano nel 1885. Si iscrive alla facoltà di Medicina, ma presto la abbandona per laurearsi in Lettere nel 1910. Insegna nelle scuole tecniche e nelle scuole serali, quindi inizia a collaborare ad alcune riviste letterarie, tra cui «La Voce», presso cui pubblica la sua prima raccolta poetica, i Frammenti lirici del 1913. La sua poesia è caratterizzata dalla violenza delle parole, sonore e vibranti, che rendono il tormento lacerante della sua coscienza. Rebora partecipa come sottotenente alla Prima guerra mondiale, ma l’esplosione di una bomba gli causa un forte trauma cranico e uno shock nervoso, per i quali viene congedato. Lo psichiatra che lo ha in cura, un po’ fantasiosamente, ma con una diagnosi quanto mai emblematica, definisce il disturbo di Rebora «mania dell’eterno». È l’inizio della conversione al cattolicesimo che matura negli anni Venti, una conversione clamorosa che si manifesta durante una conferenza in cui legge gli Atti dei martiri, ma che è il frutto di una lenta ricerca. Nel 1931 Rebora entra come novizio nel collegio Rosmini di Domodossola e nel 1936, all’età di cinquantuno anni, è ordinato sacerdote. Continua a scrivere poesie, ora di carattere religioso, come le Poesie religiose incluse nell’edizione delle Poesie del 1947. La maggior parte delle poesie successive alla conversione sono pubblicate postume.
A Stresa, la malattia costringe Rebora all’infermità: sono anni di predicazione, preghiera e meditazione dei testi sacri. Muore nel 1957.
UGO FOSCOLO

Zante 6.2.1778 – Turnham Green (Londra) 10.9.1827
Nato a Zante, isola greca allora sotto il dominio veneziano, a quindici anni, a seguito della morte del padre a soli trentaquattro anni, si trasferì a Venezia dove poté scoprire la grande letteratura classica, immergendosi nella lettura all’interno della Biblioteca Marciana e introducendosi nei salotti letterari della Serenissima. Così fin da giovane mantenne unita la sua duplice ascendenza culturale, derivatagli dai genitori, che molto influirà nella poesia e nell’immaginazione del poeta: il padre Andrea era un medico di vascello di origini italiane, e più precisamente veneziane, la madre, Diamantina Spàthis, era una donna greca che amministrava la vita familiare, riuscendo a creare un sincero legame di affetti. Nonostante la scelta della lingua italiana, il mondo greco restò sempre molto caro al poeta. Ai primi entusiasmi per gli ideali di libertà e d’indipendenza, che credeva potessero realizzarsi in Italia grazie a Napoleone, seguì la disillusione, testimoniata dal suo romanzo giovanile Ultime lettere di Iacopo Ortis. Si narra che alla stipula del trattato di Campoformio (17 ottobre 1797), con cui i francesi cedettero Venezia agli Asburgo, Foscolo fosse talmente sdegnato da schierarsi con quegli estremisti che avrebbero voluto dare fuoco alla città e perire sotto le sue rovine piuttosto che cedere. Come letterato egli continuò ad avere una forte consapevolezza della propria missione civile e politica. Partì in esilio volontario per Milano, dove conobbe Parini e Monti. Dopo aver vissuto in Francia, dove incontrò Manzoni, tornò a Milano e compose i Sepolcri, che celebrano la poesia capace di rendere eterne le azioni eroiche degli uomini. Dopo la sconfitta definitiva di Bonaparte e l’arrivo in città degli austriaci, lasciò per sempre l’Italia per concludere la sua vita a Londra.
Della sua ricca opera ricordiamo in particolare le Odi, componimenti in stile neoclassico in cui si esalta la bellezza come espressione di armonia e conforto per l’angoscia del vivere, e i Sonetti, in cui sono presenti i temi più cari a Foscolo: la bellezza rasserenatrice, l’esilio, la poesia, la morte.
GIACOMO LEOPARDI

Recanati (Macerata) 29.6.1798 – Napoli 14.6.1837
Nato a Recanati, nell’allora Stato della Chiesa, Giacomo Leopardi conduce un’infanzia alquanto atipica. Della madre, la contessa Adelaide Antici, Leopardi ricorderà l’assenza di qualsiasi sentimento materno; del padre, il conte Monaldo, sfrutterà sin da bambino la ricchissima biblioteca. Già a dieci anni Leopardi è così in grado di scrivere composizioni in italiano e in latino e brevi trattazioni filosofiche. Seguiranno i celeberrimi «sette anni di studio matto e disperatissimo», da cui il diciottenne uscirà non solo formatissimo culturalmente, ma anche debilitato fisicamente. Proprio nel 1816 si realizza la cosiddetta «conversione letteraria», in cui Leopardi passa dall’amore per l’erudizione a un maggiore gusto artistico: senza questa non sarebbero nati gli idilli (tra cui L’infinito e Alla luna, del 1819). Leopardi è però un uomo senza pace: oppresso dal soffocante ambiente famigliare e recanatese, tenta la fuga, ma è scoperto dal padre e rinuncia, cadendo in un abbattimento ancora più profondo. Quando finalmente può lasciare la casa natale, trasferendosi a Roma, ne rimane profondamente deluso. Nel 1824 inizia la composizione della sua più importante opera in prosa, le Operette morali, in cui rappresenta la propria drammatica visione della condizione umana (in tal senso, ancora più diretto è lo Zibaldone, un vero e proprio diario tenuto dal poeta nel corso della sua esistenza). Gli ultimi anni di vita sono fatti di nuove poesie (particolarmente proficuo è il biennio 1828-30, che dà alla luce Il sabato del villaggio) e di continui spostamenti, alla ricerca di lavoro, ma anche di una vita all’altezza del suo cuore pieno di desideri e di un clima consono a una salute sempre più precaria: con ciò si spiega il trasferimento a Napoli, dove morirà, in una città devastata dal colera, il 14 giugno 1837.
TORQUATO TASSO

Sorrento 11.3.1544 – Roma 25.4.1595
«Pur se beltà può nulla o scaltro ingegno,
non fia vòto d’effetto il mio desire.
O mia sprezzata forma, a te s’aspetta
(ché tua l’ingiuria fu) l’alta vendetta».
Nel 1577, travestito da contadino, Torquato Tasso riuscì a fuggire dalle prigioni estensi e a raggiungere a piedi i parenti a Sorrento. Qui annunciò alla sorella la propria morte: ne voleva provare l’affetto. Due anni più tardi, tornato a Ferrara, era nuovamente in prigione: prima vi era stato messo per aver accoltellato un servo da cui si sentiva sorvegliato; poi per aver rivolto ai suoi protettori accuse gravi, in preda all’infermità mentale. In questo periodo travagliato veniva stampata la sua opera più famosa, la Gerusalemme liberata, e Tasso interveniva nella polemica con l’Accademia della Crusca, che difendeva la tradizione letteraria italiana dai rinnovamenti tematici e stilistici in un’epoca sconvolta dai cambiamenti. I confini europei si modificavano nelle frequenti guerre e l’unità della Chiesa cattolica si era rotta con le riforme protestanti: gli artisti non potevano ignorare nelle opere questi sconvolgimenti. Tasso, d’altronde, ne aveva subito i riflessi fin da giovane: aveva seguito il padre, di antica origine nobile, nell’esilio che da Napoli lo aveva portato in diverse corti italiane. Solo presso gli Este Torquato Tasso aveva conosciuto un periodo di tranquillità. Ma il sospetto (non infondato) di follia e le autoaccuse, di eresia davanti al Tribunale dell’Inquisizione, lo portarono alla rottura con la corte di Ferrara. Trovò nuovi appoggi alla corte papale di Clemente VIII, ma era ormai stanco e deluso fino alla sofferenza fisica. Morì a Roma presso il monastero di Sant’Onofrio il 25 aprile 1595, senza arrivare alla promessa incoronazione poetica in Campidoglio per la qualità della sua opera. In essa si univano le “tre strade” per «ritornare al Cielo: l’una per via della bellezza, o dell’amore: la seconda della musica: la terza della Filosofia». La fama, immediata e internazionale, accompagnata dal mito della follia (il suo contemporaneo Montaigne ne parlò nei suoi saggi), fu anche duratura: il grande poeta tedesco Goethe gli dedicò un dramma, Leopardi una delle Operette morali, Baudelaire dei versi, per arrivare in epoca recente ai Dialoghi col Tasso di Fortini. La sua infatti è una poesia moderna: ai generi classici unisce tematiche autobiografiche e di introspezione psicologica; nelle ambientazioni si riflette la realtà drammatica e sfuggente dell’epoca; perfino il lessico sostiene queste novità, attraverso la musicalità e il ricorso a vivide immagini.
MARIO LUZI

Castello (Firenze) 20.10.1914 – Firenze 28.2.2005
Nato nel 1914 a Castello, vicino a Firenze, Mario Luzi – dopo la laurea in Letteratura francese – inizia a insegnare, prima a scuola, poi all’università. È critico letterario e traduttore, oltre che – dal 2004 – senatore a vita. La sua fama deriva però da altro: in particolare, Luzi può essere considerato il maggior poeta degli ermetici fiorentini, un gruppo che opera nel capoluogo toscano negli anni Trenta del Novecento. La poesia ermetica si caratterizza per un linguaggio essenziale, spesso di difficile comprensione, e per un contenuto distante dall’impegno politico (anche negli anni della dittatura fascista e della Seconda guerra mondiale), come si può riscontrare nella raccolta d’esordio di Luzi, La barca del 1935. L’adesione all’Ermetismo di Luzi entra in crisi nel corso degli anni Cinquanta. A segnare la svolta poetica è la raccolta Nel magma (1963), opera più disposta al confronto con la realtà storica, non priva di dialoghi e parti in prosa. Luzi è uomo di fede, tanto che nel 1999 Giovanni Paolo II gli chiede di comporre il testo per la via crucis pasquale. Nel corso della sua esistenza Luzi arriva a questa considerazione: la realtà – anche quando è tragica – non può non avere un significato e una positività che a volte sfuggono alla comprensione umana. Dietro, infatti, c’è un disegno divino buono che si serve degli uomini: il poeta, secondo Luzi, è chiamato a testimoniare questa realtà. La vena creativa di Luzi non accenna a esaurirsi nemmeno alla soglia dei novant’anni.
Muore a Firenze nel 2005.